martedì 13 maggio 2014

L'ibis e i suoi fratelli

L'Ibis è un uccello appartenente alla famiglia dei Threskiornithidae, una famiglia dell'ordine dei Pelecaniformi.
Essi vivono in zone paludose e lacustri e anche nelle savane e nelle pianure del Sud America, Nord America meridionale, Europa meridionale, Asia, Africa e Australia.
Della famiglia dei Threskiornithidae fanno parte gli Ibis (sottofamiglia dei Threskiornithinae), famosi anche grazie alla civiltà egizia che li venerava, e le Spatole (sottofamiglia Plataleinae).
Ibis e spatole sono uccelli di corporatura medio-grande, con un becco di forma particolare, caratterizzante delle sottofamiglie.
Quasi tutti gli Ibis e le spatole hanno istinti sociali e particolare cura nella nidificazione oltre che dei piccoli nati. Sono inoltre caratterizzati da un volo a schiera, tipico degli uccelli socialmente molto sviluppati e dei grandi migratori.
Molte specie sia di ibis, sia di spatole, si muovono in schieramenti compatti o in lunghe linee sinuose, alternando batter d'ali a planate. Presso i migliori siti di foraggiamento si insediano comunità promiscue di cui fanno parte anche aironi, cicogne e cormorani.
I posatoi possono essere temporanei, cioè legati alla durata delle risorse alimentari, o permanenti.

La loro socializzazione non si riduce agli esemplari della stessa specie ma esistono prove che dimostrano coabitazione di varie specie di Ibis e spatole nello stesso ambiente.
Segno distintivo di questi uccelli è il becco lungo che negli Ibis diventa sottile e arcuato mentre nelle spatole diviene largo e appiattito (soprattutto nella parte terminale).
I rappresentanti di questa famiglia hanno il capo privo di penne, e l'Ibis Sacro (
Threskiornis aethiopicus ) ha nudo anche il collo.
Il colore è uniforme e varia da colori molto chiari al nero; sono dotati di ornamenti specifici come le penne secondarie allungate tipiche dell'ibis sacro, ed il rosso vivo della pelle dell'ibis bianco americano, o i tubercoli sgargianti sul capo dell'ibis faccianera.

Ibis bianco americano (Eudocimus albus)
Solitamente, i maschi sono più grande delle femmine ed entrambi si occupano dei piccoli.
L'alimentazione di ibis e spatole si basa prettamente su ciò che si trova nelle zone che abitano (paludi, stagni e savane). Essi si nutrono di una gran varietà d'insetti, rane, crostacei e pesci utilizzando il becco come "sensore tattile" per trovare il cibo nel fango, nei buchi e sotto la vegetazione.

Le specie prettamente acquatiche hanno un becco che è più lungo rispetto alle specie terrestri e lo utilizzano per catturare prede poco mobili o ancorate al fondale degli ambienti acquatici in cui vivono.
L'ibis bianco americano è specializzato nella cattura di gamberi d'acqua dolce e di piccoli granchi costieri mentre l'Ibis eremita mangia insetti e vermi terricoli.
Invece, l'Ibis sacro si nutre di carogne ed eventualmente insetti ma anche di serpenti. Si nutre anche di uova di pellicano o di coccodrillo ma solo se le trova già frantumate.
Le spatole invece, utilizzano il proprio becco appiattito muovendolo lateralmente da una parte all'altra mantenendolo aperto, in modo da catturare eventuali pesci e insetti acquatici.

Particolare del becco di un Ibis


Particolare del becco di una Spatola

La nidificazione è generalmente coloniale tranne che in alcune specie e possono essere colonie formate da decine di migliaia di individui. I siti di nidificazione sono molto vari e differenti a seconda della specie; l'ibis bianco americano, ad esempio, nidifica sugli alberi oppure tra cespugli e canneti. In alcuni casi anche sul suolo di acquitrini paludosi.
L'ibis eremita e l'ibis calvo nidificano soprattutto su scogliere e rocce mentre l'ibis hadada, oltre che sopra rocce e luoghi elevati, non disdegna nemmeno i pali dell'alta tensione o simili.
L'ibis faccianera s'appropria del nido dei rapaci e l'ibis collomoscio nidifica sulle palme (in Venezuela) e sulle scogliere (in Cile) ed in colonie a terra in Argentina.
Per la formazione della coppia nel periodo riproduttivo, solitamente il maschio procura i materiali per il nido, presentandoli in modo cerimonioso alla femmina.
La difesa del luogo prescelto per la nidificazione è compito di entrambi, come è compito di entrambi la cova delle uova e accudire i piccoli nati.

La sopravvivenza di Ibis e spatole nel proprio areale è condizionata dai cambiamenti ambientali e dalla caccia illegale.
L'ibis sacro, che per millenni era residente stagionale lungo le rive del Nilo, è scomparso dall'Egitto sin dalla prima metà del XIX secolo.
L'ibis eremita, che nidificava nell'area alpina dell'europa centrale almeno dall'età della Pietra fino al XVII secolo, ora è circoscritto in ridotte aree dell'Africa Settentrionale e del Medio Oriente dove sopravvive lottando contro esseri umani, predatori e habitat sempre più ridotti.
Da tempo scomparso in Europa, questo splendido uccello, che oggi non conta più di 1500 esemplari, è stato ritrovato in Asia minore verso la fine del XIX secolo ed ora si tenta un progetto di recupero e tutela della specie, anche in italia (Parco natura viva, Località Figara - Bussolengo).
La specie più minacciata è l'ibis crestato di cui ne esistono circa 360 esemplari di individui in Cina e Giappone. La sua diffusione era molto ampia in questi due paesi fino agli inizi del XX secolo, ed in Corea fino alla Seconda guerra Mondiale.
La scomparsa progressiva dell'areale di questo Ibis Crestato (foreste di pini circondate da zone acquitrinose, ha sicuramente contribuito alla progressiva riduzione di questa specie.
Sull'orlo dell'estinzione è anche l'Ibis gigante, presente solamente con pochi esemplari in alcune zone limitate dell'Asia sud-orientale.
Anche la spatola faccianera, un tempo molto diffusa, si sta riducendo notevolmente impoverendo sempre più la biodiversità del nostro pianeta.


IBIS EREMITA (Geronticus eremita)


Questo ibis, un tempo diffusissimo anche in Europa ha subito negli anni un vero e proprio sterminio della specie, ora diffusa solo in piccole zone del nord Africa e del Medio Oriente (Marocco e Siria).
La riduzione del suo habitat naturale per far spazio alle coltivazioni e agli allevamenti, i cambiamenti climatici e la caccia di frodo, sono sicuramente tra le cause principali del progressivo sterminio dell'Ibis eremita.
È un uccello trampoliere, imparentato con le Spatole e i mignattai, e deve il suo nome di "eremita" per l'abitudine a nidificare su pareti rocciose difficilmente accessibili.
Nella primavera del 2009 un gruppo di 6 ibis eremita è stato avvistato nella Palude di Fucecchio, ai margini dell'area umida intorno al Lago Borghese, in provincia di Pistoia (comune di Monsummano).


Questo animale non supera i 70-80 cm di lunghezza ed ha una apertura alare che varia solitamente tra i 120-140 cm e non supera i 600 g di peso.

I maschi sono tendenzialmente più grandi delle femmine e presentano un becco più lungo.
Il colore del piumaggio è nero corvino in entrambi i sessi, con riflessi metallici di colore verde, viola e bronzo soprattutto sulle ali e sul petto.
Sulla nuca hanno delle penne lanceolate e formano un ciuffo. Il resto del capo non presenta piumaggio e per questa caratteristica, prendono il nome latino del genere di "Geronticus" (=anziano, di aspetto anziano) perché il capo nudo con questi ciuffi di penne lanceolate ricordano per certi aspetti la calvizia di una persona anziana.
Hanno zampe lunghe e robuste, con forti unghie lievemente uncinate con quattro dita di cui una rivolta all'indietro e tre in avanti.
Gli occhi sono laterali, grandi e di colore giallo ocra.
Il. becco, caratteristica peculiare di Ibis e Spatole, è lungo, ricurvo e di colore rosso. Alla base, il becco è più largo e si stringe progressivamente verso la punta (mentre nella spatola si allarga verso la punta e si appiattisce).

È un uccello che tende a trascorrere la propria vita in gruppo. Per cercare il cibo predilige aree steppose ma lo si può trovare anche in aree coltivate o cespugliose.
Si nutrono di piccoli rettili ma anche insetti, piccoli mammiferi (soprattutto carcasse), altri uccelli, lumache, ragni e scorpioni.
Hanno cura dei piccoli ed entrambi covano le uova. I piccoli cominciano a volare all'incirca dopo 2 mesi di vita.

Era venerato, assieme all'Ibis sacro, nell'antico Egitto. A quei tempi veniva adorato come reincarnazione di Toth, lo scriba degli dei.
Nei geroglifici si rappresentava come un ibis eremita stilizzato la parole "akh", che significava "risplendere"; forse questo significato derivava dai riflessi metallici del suo piumaggio.
Erodoto parla degli uccelli del lago Stinfalo come muniti di ali dal piumaggio metallico che potevano lanciare come dardi verso le proprie vittime; una delle dodici fatiche di Ercole consisteva proprio nel liberare il lago Stinfalo da questi uccelli e si pensa che questi uccelli mitologici siano stati ispirati dall'ibis eremita.
In alcune civiltà, inoltre. si considera l'ibis eremita come il primo uccello che scese dall'Arca di Noè e per questo è considerato un simbolo di fertilità, anche perché il ritorno di quest uccelli in quelle zone, coincide con la bella stagione e con la maturazione dei frutti della terra.

Infine, numerosi paesi quali Austria, Marocco, Algeria, Sudan, Siria, Turchia e Yemen hanno francobolli raffiguranti questo animali. Sono tutti paesi dove questo uccello è presente oppure era presente.


IBIS SACRO (Threskiornis aethiopicus)







È un pelecaniforme che vive nell'Africa sub-sahariana, in Iraq e anticamente in Egitto, paese in cui adesso è praticamente estinto, e dove era venerato come simbolo del dio Thot.

Il piumaggio è di colore bianco con alcuni riflessi verdi o blu e le zampe, il becco e la coda sono nere.
Esistono esemplari, rari, di ibis sacro albino i quali raramente vivono molto a lungo perché più deboli e maggiormente soggetti al predatore.
Ibis sacro è grande e può raggiungere anche i 70 cm e pesare fino ai 2 kg ed avere un'apertura alare importante che può raggiungere anche i 130 cm.


Il volo di questo animale è particolare ed è rappresentativo della sua classe d'appartenenza, i ciconiformi. Esso infatti vola con le ali aperte e le zampe slanciate

Il suo habitat è molto vario; preferisce paludi, fiumi e acquitrini ma si spinge anche ai margini delle città e sulle coste marine.
Si può trovare in Africa a sud del deserto del Sahara, e nel Medio Oriente (Iran, Iraq..) dove è abbondante. Lo si può trovare anche nel delta del Nilo (alcuni avvistamenti sporadici), e vicino ai grandi fiumi come il Niger, il Tigri e l'Eufrate.


Recentemente, a seguito di un tentativo di ripopolamento di questa specie in Europa, L'ibis sacro ed altre specie di ibis sono stati introdotti in alcuni paesi tra cui la Francia, L'italia (nel sud, Sicilia compresa), Spagna.
È stato introdotto anche in Florida,
Alcuni gruppi di esemplari sono stati avvistati anche nel nord Italia, in particolare nel Parco naturale delle Lame del Sesia e sono giunti lì non per un progetto di ripopolamento ma spontaneamente.

A seguito della sua grande diffusione e, delle capacità d'adattamento elevate, l'ibis sacro non è considerato a rischio estinzione.
L'ibis sacro si nutre prevalentemente di carne (pesci, invertebrati, piccoli serpenti e batraci) ma anche di carogne e di semi e alghe.
Utilizza il suo lungo becco per afferrare le prede ed inghiottirle intere.


Si riproducono nel periodo estivo (tra giugno ed agosto) ed in questo periodo si riuniscono in ampi gruppi dove i maschi formano un harem di femmine, tentando anche di sottrarle ai rivali attraverso lotte cruente, gonfiamenti del petto e versi intimidatori.
Depongono un massimo di 5 uova, mediamente 2 o 3, che vengono covate dalla femmina la quale si occupa dei pulcini.
Verso le 4-5 settimane i giovani esemplari divengono indipendenti e a 20 anni sono in grado di riprodursi.
È un uccello molto antico di cui sono stati trovati reperti fossili antichi 2 milioni di anni in Malawi. Gli studiosi lo indicano come parente più stretto degli aironi ed infatti si dice che la scissione tra aironi ed ibis sia avvenuta circa 3 milioni di anni fa.
Ci sono alcune specie di ibis simili all'ibis sacro.
 Una si trova in Madagascar e differisce per le dimensioni e perché ha le estremità alari di color nero (
Threskiornis bernieri). L'altro invece è L'ibis bianco australiano(Threskiornis molucca) che ha una struttura corporea più grossa rispetto all'ibis sacro.
Un altra specie, simile all'ibis sacro ma incapace di volare, la si trovava in un isola dell'oceano indiano, Réunion, e si chiamava, "ibis di Réunion" che si estinse nel XVIII secolo.



Ibis di Réunion (Threskiornis solitarius)


Ibis bianco Australiano

Ibis sacro del Madagascar (Threskiornis bernieri)


L'ibis sacro, come l'ibis eremita, era considerato sacro dagli egizi e ci sono pareri discordanti su quale fosse il vero ibis raffigurato nei geroglifici per rappresentare il dio Thot. Si pensa, ad ogni modo, che essi volessero raffigurare l'ibis sacro ma non si esclude la presenza di ibis eremita di passaggio per l'Egitto, che potrebbero aver influenzato alcune antiche scritture.


Geroglifico del Dio egizio Thot, simbolo dell'intelligenza

l'ibis sacro era considerato tale dagli antichi egizi perché utile; si nutriva di carogne e serpenti ed era considerato puro poiché beveva solo acqua limpida che veniva utilizzata dai sacerdoti per compiere rituali.
L'ibis sacro era considerato un animale intelligente per il suo sguardo fisso sull'obiettivo ed anche per l'elegante postura.

Ai tempi dell'antica civiltà egizia, gli ibis venivano allevati in ampi spazi per poi essere mummificati e inseriti all'interno di anfore da dare ai fedeli che invocavano la grazia al dio Thot.
Stessa cosa avveniva con altri animali come il falco (dio Horo); furono trovati migliaia di ibis e falchi mummificati nella necropoli di Ermopoli ad indicare quanta importanza avessero questi animali.


Nel decimo volume della Naturalis historia di Plinio il vecchio si parla di come gli ibis venissero invocati contro le invasioni di serpenti e come gli stessi ibis venissero addomesticati dalla popolazione contro  gli ofidi stessi.
Sempre secondo Plinio il Vecchio i sacerdoti fermarono epidemie di peste immolando agli dei un ibis sacro.



IBIS SCARLATTO (Eudocimus ruber )


Ibis scarlatto
Animale di medie dimensioni che raggiunge un'apertura alare di circa 90 cm.
Abita le mangrovie di Trinidad e Tobago e vive anche in Colombia, Venezuela, e la costa nord del Brasile. Sono presenti anche a San Paolo e Paranà.
È essenzialmente stanziale ma durante la stagione secca può percorrere molti chilometri alla ricerca di territori di alimentazione idonei.
Si riproduce durante la stagione delle piogge, formando dei grandi gruppi coloniali che possono comprendere anche 5000 coppie.
Spesso queste colonie comprendono anche altre specie di ibis e di aironi.
I nidi vengono costruiti sugli alberi.
Le uova vengono covate una ventina di giorni e nascono fino a 5 piccoli con un piumaggio di colore bruno pallido.
Si nutrono prevalentemente di crostacei e molluschi ma anche di insetti e piccoli pesci che vivono nel fango e che trovano grazie al loro becco lungo e ricurvo.
La ricerca del cibo avviene in gruppi che variano da 20 a 60 individui.
Come per i fenicotteri, l'intensità del colore rosso è dovuta alla dieta ricca di gamberetti che cattura scandagliando l'acqua col becco.
Al momento non è considerato minacciato a livello globale anche se negli ultimi anni vi son state delle fluttuazioni annuali di nascite in gran parte dell'areale, attribuibile alla bonifica di paludi, alla caccia e alla predazione dei nidi.


IBIS GIGANTE (Thaumatibis gigantea)


È un animale molto raro, fotografato per la prima volta solamente nel 2003.
Ha un areale molto ristretto ed è in pericolo per la scomparsa del suo habitat e per l'uomo.
Lo si può trovare nel nord della Cambogia ed in pochissimi esemplari, forse un paio, nel Laos.
Recentemente, sono stati rivenuti esemplari anche in Vietnam, all'interno dello Yok Đôn National Park e fino agli anni '20 del secolo scorso era allevato nel sud-est della Thailandia.

È un uccello che vive in pianura nei pressi di paludi, acquitrini e grandi fiumi.
Vive anche in zone di passaggio tra foresta e pianura ed in stagni, anche effimeri, dovuti alla stagione delle pioggie, dove le foglie della vegetazione marciscono all'interno dell'acqua stagnante.
È il più grande ibis vivente al mondo; gli adulti possono arrivare a 106 cm di lunghezza con una altezza in posizione verticale di 100 cm con un peso stimato di 5 Kg circa.
Gli adulti hanno sempre un piumaggio grigio - marrone scuro, con la testa nuda, di colore grigiastro e bande scure sulla parte posteriore del collo. Gli occhi sono rosso scuro e le zampe sono normalmente di colore arancione.
Molto caratteristico è il suo verso di richiamo che lo si può sentire da molto lontano sia all'alba che al tramonto.


Si conosce poco dell abitudini di questo animale a causa della sua rarità ma soprattutto del fatto che vive in zone rese pericolose dagli umani (guerriglieri, terrorismo, guerre....).
Sappiamo che si nutre di invertebrati acquatici, anguille, crostacei e piccoli anfibi e rettili.
Si nutre regolarmente di locuste e cavallette nei momenti dell'anno in cui sono abbondanti ed occasionalmente integra la dieta con semi.
Si nutre anche di grilli talpa e rane, soprattutto al di fuori della stagione riproduttiva e cerca spesso il cibo negli strati superficiali delle zone lacustri/stagnanti.
Non si sa nulla del suo comportamento riproduttivo ma sono stati rivenuti i nidi che vengono costruiti sopra gli alberi, con preferenze per il Dipterocarpus

Solitamente i nidi sono distanti almeno 5Km da zone abitative anche se non sono particolarmente timidi e fuggono dall'uomo solo se si sentono in pericolo.
Le femmine depongono 2 uova durante la stagione delle piogge (da giugno a settembre).
È un animale territoriale e vive in gruppi numerosi a carattere famigliare (quasi sempre ogni individuo del gruppo ha legami di sangue) ma possono spostarsi durante la stagione secca in cerca di cibo e acqua.
L'ibis gigante è in pericolo critico d'estinzione non solo per le cause umane che contribuiscono a distruggere il suo habitat ma anche a causa dei predatori delle sue uova e della siccità.



SPATOLA BIANCA (Platalea leucorodia)


Spatola bianca
La spatola è un uccello che può raggiungere anche l'altezza di 85 cm e pesare 3 kg.
È caratterizzato da un becco a forma di spatola, lungo ed appiattito, con estremità di color giallastro e maggiore larghezza.
Il suo piumaggio varia a seconda della stagione; in inverno è di color bianco mentre nella stagione riproduttiva possono essere presenti delle macchie giallastre prevalentemente alla base del collo e sulla nuca.

A volte viene confuso per un airone, specialmente per un airone bianco maggiore con cui ha in comune l'habitat e le dimensioni ma è sufficiente osservare il 


Airone Bianco Maggiore, notare il becco
 completamente diverso dalla spatola, corto e giallo
becco per poterli distinguere.
La spatola vive in Europa, Asia, Africa del Nord. In Italia lo si può incontrare raramente e nidifica nei pressi dei corsi d'acqua sulla pianura Padana.
Necessità di zone umide e forma spesso colonie con altri uccelli acquatici come Aironi, garzette...
È stata oggetto di caccia ma ora la popolazione a livello mondiale è in aumento e infatti lo si può trovare più spesso nel delta del Po e nella laguna Veneziana.
Si nutre di invertebrati (insetti, molluschi e crostacei) ma anche piccoli pesci ed anfibi.
La cattura della preda avviene utilizzando un metodo "sociale", una "sorta di pesca di gruppo".

Infatti, le spatole si posizionano fianco a fianco nell'acqua bassa muovendo i becchi in simultanea e setacciando così il fondo melmoso.
L'estremità piatta e larga del becco, permette alla spatola di sentire la presenza della preda e catturarla.

La spatola nidifica in primavera-estate, da Marzo ad Agosto, in colonie.
La collocazione dei nidi è diversa e varia da luogo a luogo: nelle zone palustri il nido e tra i canneti, mentre nei boschi o ovunque ci siano alberi il nido può essere molto in alto, posizionato su rami resistenti in posizione strategica.

Depone da 3 a 5 uova, di color bianco con piccole macchioline marroni o nocciola. Le uova son covate da entrambi i genitori per circa 20 giorni. Quando il piccolo nasce è ricoperto da un folto piumaggio bianco ma il becco ha già la forma tipica della specie.
I pulcini vengono accuditi e nutriti per circa 3 mesi, finito questo tempo il pulcino saprà volare ma molto spesso i pulcini continuano a voler essere nutriti nonostante ormai siano già dei giovani adulti.



Spatola in volo



giovedì 10 aprile 2014

Parliamo dell'Ebola

Negli ultimi giorni televisione, radio, giornali e soprattutto il web hanno cominciato a parlare di una epidemia di virus Ebola nell'Africa Equatoriale, in particolare in Guinea e Liberia.
Questa epidemia non è nuova, ma è presente in quei territori almeno da Gennaio anche se solo ora se ne parla perché ha raggiunto una importante città, Conakry.




Cosa è il virus Ebola?
L'ebola è un virus appartenente alla famiglia dei Filoviridae, che colpisce l'uomo e può provocare febbri emorragiche.
Questo virus venne individuato per la prima volta negli anni '70 in quello che era chiamato, un tempo, Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).
Sono stati individuati 4 ceppi di questo virus, 3 dei quali sono pericolosi per l'uomo.
Dalle notizie che ho letto, sembrerebbe che il ceppo diffuso in Guinea sia quello più virulento, chiamato "Zaire",  e che avrebbe il tasso di mortalità del 88%.

C'è però da dire che questo tasso di mortalità è stato calcolato negli anni in un ambiente, quello africano, dove igiene, robusta costituzione dei pazienti, norme igieniche e buona alimentazione sono un qualcosa di utopistico.
Sembrerebbe (ma ciò è ancora una teoria solo in parte verificata), che l'utilizzo di adeguate norme igieniche, unito al contagio di persone ben nutrite e sane, possa ridurre notevolmente questa percentuale di mortalità anche in un virus considerato così pericoloso.

C'è da dire, comunque, che il virus va tenuto sotto controllo in modo tale da evitare una maggiore diffusione del contagio in quanto dalle ultime notizie ci sarebbero dei casi in una grande città della Guinea, con conseguente maggior rischio di contagio a causa dei molti abitanti e delle pessime condizioni di vita presenti nella zona.

Come avviene il contagio?
 L'Ebola si diffonde agli esseri umani attraverso il contatto con animali infetti come scimmie, gorilla, porcospini e pipistrelli (volpi volanti in primis).
Sono proprio queste ultime le probabili incriminate di questa e altre infezioni da virus ebola avvenute in passato poiché in queste zone, Guinea compresa, il consumo di carne di pipistrello è molto diffuso.
Le autorità locali recentemente, hanno messo al bando questa pratica alimentare, tuttavia non sara semplice evitare che una tradizione così antica sparisca di punto in bianco.
Non è ancora chiaro come si sia diffusa l'attuale epidemia; non è mai facile individuare l'origine di un focolaio epidemico ed il "paziente zero" da cui tutto ha avuto inizio.
L'infezione tra uomo e uomo si trasmette a causa di secrezioni biologiche, come sangue infetto, anche quando il paziente è deceduto.
Anche se molti articoli recentemente apparsi vi fanno credere che il contagio uomo-uomo sia molto semplice, ciò in realtà non è proprio vero. Esso infatti è piuttosto raro ed avviene a causa di particolari pratiche spesso riconducibili alla tradizione locale come, ad esempio, prendersi cura e lavare i defunti entrando così in contatto con sangue infetto. (È molto più probabile contrarre questa malattia dal contatto con un animale malato).

I sintomi principali sono molto vari; si va da febbre alta, rush cutaneo, stanchezza, vertigini, vomito, dissenteria ed emorragie interne ed esterne.
Non esiste un vaccino e nemmeno un protocollo farmacologico-sanitario standard che sia riconosciuto come cura.
Solitamente si agisce sui sintomi, abbassando la febbre ed idratando il corpo del paziente nella speranza che sia abbastanza forte da superare da solo la fase acuta della malattia.

Dobbiamo allarmarci?
No. E dico questo perché esistono protocolli standard, usati in Europa ed anche in Italia, d'isolamento che sono molto efficaci ed impediscono ogni possibilità di contagio. L'OMS, la CDC e tutti gli enti internazionali devono stare in guardia ma noi non dobbiamo crearci inutili allarmismi poiché a mio parere, in condizioni normali, è molto difficile che un italiano entri in contatto con un potenziale uomo malato o con un animale malato.
Bisogna conoscere il virus, rispettarlo ma essere consapevoli ed informati in modo da sapere come comportarsi. L'ebola sicuramente non è una passeggiata ma penso che sia molto difficile una sua propagazione epidemica in Europa ed in Italia a patto che il sistema di controllo, che in questi casi viene REGOLARMENTE attivato, sia efficiente.

Per saperne di più:
- Wikipedia
- http://www.epicentro.iss.it/problemi/ebola/ebola.asp
- Cacciatori di Virus

mercoledì 12 febbraio 2014

Come stanno gli orsi polari?



Sono molte le notizie che in questi primi mesi dell'anno hanno visto come protagonisti gli orsi polari.
In particolare, i problemi individuati dagli studiosi riguardano grossi cambiamenti a livello di alimentazione e abitudini di vita.
Le cause di tutti questi problemi sono da ricercarsi all'interno dei forti cambiamenti climatici delle zone artiche con ovvie conseguenze su ogni forma animale e vegetale presente nella zona.
Ma quali sono le problematiche evidenziate da recenti studi e pubblicate in questi primi mesi del 2014? Vediamole nello specifico.

Stressati dal clima
Uno studio pubblicato recentemente sul "Journal of Visualized Experiments (Jove), dal gruppo di ricerca coordinato da Jerrold Meyer dell'università del Massachusetts (Amherst), indicherebbe un aumento dei livelli di cortisolo, l'ormone "dello stress",  riscontrato analizzando i peli degli orsi polari.
I dati raccolti, su campioni di peli raccolti in Groenlandia ad una novantina di orsi polari tra il 1988 ed il 2009, indicherebbero che esiste una correlazione tra aumento dei livelli di cortisolo nella pelliccia e le fluttuazioni di temperatura e di estensione dei ghiacci.
Ora le ricerche di Meyer continuano analizzando campioni di peli provenienti da orsi polari vissuti anche a fine '800; ciò è possibile, come affermato da Meyer, per il fatto che il cortisolo si conserva nei peli ed anche nei capelli umani per centinaia di anni.
Gli studi di Meyer non si focalizzano però soltanto sul cortisolo; egli infatti analizza anche progesterone, testosterone ed i livelli di ossitocina nei campioni biologici come saliva, sangue e capelli ed ha sviluppato un metodo che permette di migliorare la tecnica standard per correlare il cortisolo allo stress.
Egli pensa che questi studi svolti sugli orsi polari, oltre che dare notevoli informazioni sulle fluttuazioni climatico-ambientali, possano essere utilizzate per analizzare il livello di cortisolo sull'uomo con un metodo più efficace rispetto a quello comunemente utilizzato oggi.

Cambia la dieta degli orsi polariUn recente studio pubblicato sulla rivista "Ecology and Evolution" dimostrerebbe due fatti molto importanti.
In primo luogo che la capacità degli orsi polari di adattarsi ad una dieta differente è un fenomeno molto più fattibile di quanto si pensasse; In secondo luogo, e come conseguenza al primo fatto, l'orso polare è diventato meno selettivo nella ricerca di cibo.

I ricercatori Linda Gormezano e Robert Rockwell hanno analizzato le feci degli orsi polari (Ursus maritimus) nella zona occidentale della Baia di Hudson ed hanno comparato i nuovi risultati con precedenti risultati che avevano ottenuto a fine anni '60 ed inizio '70.
Lo studio è stato condotto durante la stagione priva di ghiaccio, cioè quando gli orsi polari solitamente cacciano foche per ricostituire le loro riserve di grasso animale che si sono consumate durante il letargo.
A causa dei cambiamenti climatici, il ghiaccio nella zona si scioglie più rapidamente e quindi c'è poco tempo, per gli orsi polari, per cacciare le proprie prede favorite.
È stato osservato che per fronteggiare questo problema, l'orso polare diventa meno selettivo e si nutre di altre cose.
Attraverso l'analisi delle feci dell'orso polare si è notato che questi animali si nutrono di cibo proveniente sempre più dalla "terraferma". Nelle feci sono stati trovati resti di uccelli (nel 29% dei campioni analizzati), in particolare di oche delle nevi (Chen caerulescens), e sono stati rinvenuti anche resti di uova (4.4%).
Inoltre, sono stati trovati resti di mammiferi tra cui i più comuni erano i caribù (10.1%), foche (6.5%) e altri orsi polari (5.1%). Occasionalmente, sono stati trovati anche resti di roditori e lepri e anche di vegetali, soprattutto di erbe tipiche di zone costiere e alghe marine.
Ma cosa significa tutto ciò se rapportato ai dati raccolti più di 40 anni fa?
Dall'elaborazione di questi dati si scopre che gli orsi polari stanno consumando un minor numero di piccoli mammiferi ed una maggior quantità di orsi polari, presumibilmente attraverso atti di cannibalismo.
La frequenza di consumo degli uccelli risulterebbe invariata ma ciò che è molto interessante è la presenza di caribù e di uova nella dieta.
Caribù e uova di animali sembrano essere nuove risorse di cibo per gli orsi polari, fatto che non era stato riscontrato nel precedente studio di fine anni '60.
Per quanto riguarda la componente vegetale della dieta degli orsi polari, risulterebbe invariato il consumo di frutti di bosco e muschi, mentre starebbero consumando maggiormente "Leymus arenarius" (fam. Poaceae), una pianta presente sulle coste, anche su terreni sabbiosi e funghi. Risulta diminuito il consumo di alghe marine e di altre erbe che erano state trovate nello studio precedente.
Secondo molti ricercatori interpellati su questo studio, tra cui Steven C. Amstrup ricercatore presso la "Polar Bears International", nonostante i vantaggi che derivano da una dieta più flessibile, è molto improbabile che questa nuova tipologia di foraggiamento possa salvare gli orsi polari dai cambiamenti climatici e dalla scomparsa del ghiaccio.
Egli afferma, nello specifico, che non vi sono prove che questi nuovi alimenti possano foraggiare gli orsi polari a livello di popolazione; in poche parole potremmo riassumere il suo pensiero dicendo che queste nuove abitudini alimentari possono aiutare qualche individuo della specie ma a livello di popolazione ciò è tutto da verificare.
Un altra puntualizzazione fatta da Amstrup ed altri è molto interessante e riguarda la competitività che si verrebbe a creare tra animali che tradizionalmente procacciano il loro cibo sulle rive e gli orsi polari.
Lungo le rive della baia di Hudson, infatti, sono soliti nutrirsi anche orsi Grizzly e secondo alcuni studi non ci sarebbe cibo a sufficienza per entrambe le popolazioni. Il cibo in quelle zone sarebbe sufficiente solo per piccole comunità di orsi (come le piccole comunità di grizzly già presenti nella zona) e l'arrivo di un nuovo competitore per il cibo potrebbe creare notevoli squilibri nell'ambiente e tra le specie animali presenti.

Si "dorme" sempre meno
Infine, altro problema recentemente riscontrato tra gli orsi polari, è quello del letargo che dura sempre meno.
In Scandinavia è stato osservato un comportamento inusuale da parte degli orsi polari, sono già usciti dal letargo!!!!
Le temperature anomale, superiori di quasi 5 gradi rispetto alla media del periodo, hanno sconvolto i modelli stagionali della fauna e della flora sia in Scandinavia ma anche in Groenlandia ed Islanda.
Dall'inizio dell'anno sono state varie le segnalazioni di orsi polari usciti dal letargo e sono stati riscontrati anche cambiamenti nelle abitudini degli uccelli migratori i quali si sono attardati sulle coste svedesi perché non c'era abbastanza freddo da "costringerli" alla migrazione.
Le alte temperature hanno favorito anche il risveglio di alcune piante con molti mesi d'anticipo.


In conclusione possiamo dire che il povero orso polare non è messo molto bene e sta "lottando" come può per sopravvivere e provvedere ai suoi bisogni primari.
Non possiamo dimenticare che, come lui, ci sono tantissimi altri animali e piante che soffrono per questi cambiamenti climatici sempre più drastici e repentini e ciò mette a rischio l'intero ecosistema terrestre poiché vengono a mancare gli equilibri e quei ritmi temporali su cui la natura si basa.
Non possiamo dire che cosa accadrà, nel futuro, all'orso polare e agli ecosistemi oggi conosciuti.
Però possiamo, e dobbiamo, monitorare il più possibile gli eventi e tentare di studiare i meccanismi e le cause di questi cambiamenti climatici oltre che studiare in maniera sempre più tenace i meccanismi attuati dal mondo animale e vegetale per sopravvivere in situazioni di "cambiamento ambientale".
A mio avviso si aprono molte possibilità di ricerca in questo ambito ma ci vogliono la volontà ed i fondi per investire su ciò che potrebbe aiutarci a comprendere meglio il nostro futuro e, a mio parere, anche la nostra storia passata.

lunedì 10 febbraio 2014

I Lombrichi giganti del Gippsland

Ho notato che nell'ultimo mese è tornata alla ribalta una notizia riguardante questi lombrichi giganti. Nella notizia che ho letto io si dice che sono stati scoperti e, da quello che ho letto, sembra che ciò sia una nuova scoperta.
In realtà i lombrichi giganti sono conosciuti da moltissimo tempo ma è raro vederli in giro poiché scavano profonde gallerie ed escono raramente in superficie.
Questi lombrichi giganti sono comuni oligocheti ed i più grandi appartengono alla specie "Megascolides australis"  che vivono nel sud est dell Australia, nella zona chiamata Gippsland.

L'ultimo individuo di questa specie che è stato ritrovato misurava 90 cm ma questo era piccolo se confrontato agli esemplari di 2 o 3 metri trovati in passato. Inoltre, il più grande esemplare mai ritrovato di Megascolides era lungo 4 metri.... un esemplare di notevoli dimensioni soprattutto se considerato ai lombrichi che siamo soliti incontrare durante le nostre passeggiate nelle giornate umide e uggiose.


Source: Neatorama

Nel 1870 un gruppo di geometri trovò nei pressi di Warragul (Sud-Est Australia), un animale che poteva sembrare un serpente. Questi inviarono l'esemplare a Frederick McCoy, che allora era il direttore del museo Nazionale di Victoria. Egli descrisse la specie come un lombrico di terra e fu lui a chiamarlo "Megascolides australis"
Mediamente gli adulti sono stati misurati sotto al metro (circa 90 cm) ma la loro lunghezza varia notevolmente anche a causa della loro grande possibilità di allungarsi fino e oltre i 2 metri. Per questo motivo, si pensa che la lunghezza per questa specie non sia una misura accurata per descriverli al meglio, e si preferisce descriverli dando più risalto al peso degli individui. Un individuo adulto di Megascolides può arrivare a superare i 200 grammi.
Essi assumono varie colorazioni tra il viola scuro ed il blu scuro ma anche grigio e sfumature del marrone. Il loro corpo è caratterizzato da circa 300-500 segmenti corporei.
Vivono gran parte della loro vita nel sottosuolo all'interno di terreni argillosi nei pressi di corsi d'acqua. Essi costruiscono sistemi di tane molto profonde dove l'acqua è presente copiosa poiché è necessaria per la loro respirazione in quanto, come tutti gli oligochete, respirano attraverso la pelle che deve sempre essere umida.
La loro maturazione può avvenire in tempi lunghi che possono variare da 3 fino a 5 anni. Sono ermafroditi e si riproducono nei mesi più caldi, un paio di volte all'anno, producendo delle capsule che possono essere lunghe dai 4 ai 7 centimetri; quando queste capsule si schiudono nascono lombrichi già di notevoli dimensioni e che, nel giro di un anno, possono raggiungere e superare i 20 centimetri di lunghezza.


A Giant Gippsland Earthworm egg
Photographer: Alan Henderson / Source: Museum Victoria

Diversamente da molti lombrichi che rilasciano i propri depositi sulla superficie,  essi depositano i propri scarti di costruzione della tana all'interno di essa e questa, generalmente, può essere lavata solo da forti piogge. Si muovo molto lentamente e possono essere individuati nelle profondità dei loro cunicoli sotterranei, attraverso un suono caratteristico; una sorta di risucchio, o gorgoglio, che permette di individuarli.

Considerando la loro fragilità e l'areale ristretto, questo lombrico è considerato dalla IUCN come "vulnerabile" soprattutto perché necessità di particolari caratteristiche ambientali (molta umidità e terreni specifici) e perché nella zona in cui vive è messo in pericolo dall'agricoltura, che s'impossessa dei terreni ed utilizza pesticidi letali, e dalle mandrie al pascolo, le quali lo possono calpestarlo quando fuoriesce in superficie. A ciò si deve aggiungere un ridotto tasso di nascite ed una lenta maturazione in individui adulti che rende ancora più difficoltosa la loro sopravvivenza in un ambiente antropologicamente stressato.

Questa specie di lombrico, non è tuttavia l'unica ad avere notevoli dimensioni: esistono anche nel resto del mondo:
  • Driloleirus americanus: Presente nel nord-Ovest degli Stati Uniti (Washington State, Idhao)
  • Driloleirus macelfreshi:  In Oregon
  • Lumbricus badensis: In Germania
  • Microchaetus rappi: Sud Africa



Ecco un breve documentario che parla del lombrico gigante del Gippsland




ALCUNE CURIOSITÀ:
  • Mining Karmai è il nome aborigeno di Megascolides australis
  • È stato avvistato solo nelle seguenti aree: Korumburra , Loch e a Warragul nella valle del Bass River .
  • Ogni anno, in Marzo, nella piccola cittadina di Korumburra si svolge il "The Karmai Giant Worm Festival", una parata di strada, con stand gastronomici ed anche il premio di "Queen Karmai"
  • Come tutti i lombrichi sono molto importanti in natura, anche per l'uomo poiché essi, attraverso il rimescolamento del terreno e le sostanze di scarto che producono, fertilizzano la terra in maniera naturale (hanno la capacità di scindere i materiali organici e mescolarli nel suolo aiutando la proliferazione batterica e la loro attività microbica). Anche per questo motivo ora in Australia questa specie è protetta e considerata "amica degli agricoltori".
  • Sono molto importanti anche perché, attraverso la costruzione di galleria sotterranee e al rimescolamento del terreno, permettono all'acqua di infiltrarsi in esso molto meglio e contribuiscono nel mantenimento in salute delle radici della vegetazione circostante (ossigenano il terreno e le radici delle piante).
  • La popolazione locale, consapevole dell'importante di questo semplice e magifico organismo, ha attuato accorgimenti tali da favorirne la tutela come l'utilizzo di recinzioni per impedire a persoe, cose o animali di passare nelle zone  dove essi preferiscono spostarsi ma anche riducendo l'utilizzo di pesticidi ed insetticidi. Inoltre, l'aratura dei campi viene attuata con molta attenzione.
  • Viene utilizzato un test audio, dai contadini, per verificare la presenza di questi animali nei loro campi; si cerca di ascoltare il tipico gorgoglio che produce questo lombrico all'interno del terreno.
  • Vicino a Phillip Island vi è un museo dedicato al verme gigante che permette ai visitatori di entrare in una ricostruzione di una galleria sotterranea di questo oligochete e permette, inoltre, di camminare attraverso lo stomaco di un verme simulato.


E per concludere con una costa stupida ma simpatica, ecco una pubblicità sui vermi giganti gommosi da mangiare :D



Fonti:
http://www.environment.gov.au/cgi-bin/sprat/public/publicspecies.pl?taxon_id=64420

http://www.dse.vic.gov.au/__data/assets/pdf_file/0014/103217/077_Gippsland_Earthworm_1997a.pdf

http://museumvictoria.com.au/discoverycentre/infosheets/giant-gippsland-earthworm/

http://vro.depi.vic.gov.au/dpi/vro/vrosite.nsf/pages/lwm_biodiversity_earthworm

http://vro.depi.vic.gov.au/dpi/vro/vrosite.nsf/pages/lwm_biodiversity_threatened_species_pdf/$FILE/GGE%20Jumbunna%20final%20report.pdf

http://vro.depi.vic.gov.au/dpi/vro/vrosite.nsf/pages/lwm_biodiversity_threatened_species_pdf/$FILE/GGE%20Ellinbank%20final%20report.pdf

http://en.wikipedia.org/wiki/Giant_Gippsland_earthworm

mercoledì 5 febbraio 2014

Perchè gli animali non hanno le ruote?

Gran parte della tecnologia umana ha avuto origine imitando soluzioni efficaci presenti in organismi e, in generale, in natura.
Ma allora, se l'arte rispecchia la natura e se la ruota è una invenzione tanto efficace, perché gli animali camminano, volano, nuotano, saltano e strisciano ma non si spostano su due ruote o più?
Perché la natura, che è così varia nelle sue manifestazioni, ha disprezzato la ruota? Le ruote sono forse un mezzo mediocre o poco efficiente per spostarsi?

In questo caso il limite sembra risiedere negli animali e non nell'efficienza della ruota poiché molte forme e strutture vantaggiose, come ad esempio la ruota, non possono essere sviluppate dagli animali perché ci sono strutture architettoniche ereditate che glielo impediscono, come fossero dei veri e propri vincoli "architettonici" (strutturali).
Le ruote, per S.J. Gould, non hanno gravi difetti come mezzo di trasporto e probabilmente gli stessi animali avrebbero dei vantaggi anche senza per forza "imparare" a costruirsi strade come ha fatto l'essere umano per utilizzarle in maniera più efficiente; altri invece, asseriscono che tali strutture non si sono evolute negli animali proprio perché non erano poi così vantaggiose, soprattutto senza le strade.
Gould inoltre, nel suo saggio "regni senza ruote" fa notare che gli animali non possono costruire ruote con le parti che la natura ha fornito loro poiché dal punto di vista strutturale vi sono dei limiti che impediscono questa possibilità.
Infatti, come principio strutturale fondamentale, una vera ruota deve girare liberamente, senza alcuna fusione fisica con l'oggetto che trasporta e già questo risulta un grosso limite strutturale.
Nel caso in cui la ruota e l'organismo avessero una connessione fissa, la ruota non potrebbe girare liberamente molto a lungo e dovrebbe inevitabilmente ruotare all'indietro per evitare stress agli elementi di connessione, i quali si romperebbero con l'accumularsi dello sforzo.
Altro limite strutturale che rende la ruota infattibile per gli animali, riguarda la necessità di questi a mantenere connessioni fisiche fra le loro parti; infatti, gli animali necessitano di muscoli, legamenti, strutture ossee, apparato circolatorio, sistema nervoso... tutte strutture fondamentali che risulterebbero incompatibili con una ipotetica ruota, che andrebbe a disconnettere inevitabilmente l'organismo nelle sue parti più importanti.

Per Richard Dawkins (teorico del "gene egoista"), costruire una strada, che teoricamente non è molto più complicata di costruire un nido, non sarebbe un gesto abbastanza egoista poiché, una volta costruita, verrebbe utilizzata da chiunque, anche da chi non ha partecipato alla costruzione e per questo non ci sarebbe un vantaggio per i costruttori, anzi, sarebbero penalizzati perché essi pagherebbero il prezzo della costruzione mentre gli altri individui potranno utilizzare la strada ma senza aver speso energie, tempo e risorse utili ad attività fondamentali come la riproduzione e la nutrizione.


Detto ciò, abbiamo delle teorie su questo argomento che giustificano in maniera scientificamente corretta l'assenza di animali con le ruote.... ora però vi stupirò dicendovi che in verità esistono organismi dotati di ruote ed uno di loro è proprio nel nostro organismo.
Per questo sarebbe meglio domandarsi del perché nei grandi animali non si sono sviluppate strutture come le ruote (per i motivi elencati poco sopra) considerando il fatto che nel "mondo del molto piccolo" la natura ci sorprende ancora una volta e strutture rotanti, come le ruote, sono fattibili nel mondo microscopico.


Nel nostro corpo e in quello di ogni essere umano vi sono miriadi di Escherichia coli, comune bacillo dell'intestino umano, lungo circa 2 micrometri, che per muoversi utilizza come sistema di propulsione lunghi filamenti simili a fruste denominati flagelli.
Il biologo Howard C. Berg, modificò il suo microscopio per poter seguire i singoli batteri e studiarne il movimento e notò che un E.coli si muove in due modi;
E.coli può "correre", nuotando rapidamente per un certo tempo lungo una traiettoria rettilinea o leggermente curva poi si può fermare bruscamente e dondolare (twiddle), e dopo aver ruotato su se stesso riparte in un'altra direzione.
Secondo le osservazioni di Berg, il flagello batterico opera come una ruota; esso ruota rigidamente come un'elica azionata da un "motore" rotatorio posizionato nella parte basale inclusa nella parete cellulare dell'organismo. Inoltre, il motore è reversibile e quindi E.coli può modificare la direzione del moto arrestandosi bruscamente e ruotando i flagelli in una nuova direzione (vedi video qui sotto).



Oltre all'esempio di Escherichia coli, esiste un protista monocellulare che vive nel tubo digerente delle termiti che possiedono strutture le quali fungono da ruote.
Questo organismo, la cui struttura è stata identificata per la prima volta dal dottor Sidney Tamm, contiene un assostilo (una sorta di asse decorrente lungo la lunghezza del corpo), che ruota continuamente in una direzione. Gli organelli dell'estremo anteriore del corpo, nucleo compreso, sono fissati all'assostilo e ruotano con esso,  "come quando si fa ruotare un lecca-lecca tenendolo per il bastoncino", come osservato dallo stesso Tamm.

Ma la cosa più curiosa, e che lo rende più simile al funzionamento di una ruota, è che l'intero estremo anteriore, compresa la superficie della cellula, ruota assieme all'assostilo relativamente all'asse del corpo.
Tamm riuscì a dimostrare questo movimento con un ingegnoso esperimento, fissando piccoli batteri sull'intera superficie esterna della cellula.
 Quelli fissati all'estremità anteriore della cellula ruotavano con moto continuo rispetto a quelli fissati all'estremità posteriore.
I batteri non aderivano però a una stretta banda compresa fra la parte frontale e quella posteriore della cellula, la quale doveva rappresentare perciò una zona di taglio.
Tamm studiò anche la struttura della membrana cellulare utilizzando un microscopio elettronico a congelamento e frattura e trovò che essa era continua attraverso la zona di taglio. Tamm concluse che l'intera superficie doveva essere fluida e che le zone di taglio potevano formarsi, teoricamente, in qualsiasi posizione di essa.

Riassumendo:
1) Le ruote sono un'invenzione umana in cui non vi è traccia in natura ad eccezione del mondo dei microrganismi (E.Coli, protista delle termiti).
2) I motivi per cui la ruota non è presente nei grandi animali sono stati discussi a lungo nel mondo scientifico. 
3) C'è chi pensa che non esista questa struttura nel mondo animale perché risulterebbe poco efficace considerando che anche per l'uomo, la ruota è diventata importante nel momento in cui si è costruita anche la strada dove farle muovere senza troppa fatica. Un animale, in un ambiente privo di strade (terreno, sabbia ecc ecc) si muove meglio utilizzando zampe, ali ecc ecc...
4) Secondo Dawkins, fautore della teoria del gene egoista, l'ipotetica costruzione da parte degli animali di strade non si è verificata poiché sarebbe una cosa poco egoista ed utilizzabile da chiunque altro e quindi molto più vantaggioso per chi non l'ha costruita sprecando tempo ed energie.
5) Per Gould, oltre al fatto che non c'è stato bisogno di costruire una strada perché l'evoluzione ha avvantaggiato altri metodi di movimento in terreni brulli o impervi, afferma che ci sono dei grandi problemi strutturali per degli ipotetici grossi animali con ruote come strutture di locomozione. Ciò perché non ci sarebbe la possibilità di connettere tessuti, vasi sanguigni, sistema nervoso ecc... con la ipotetica nuova struttura "ruota".

lunedì 3 febbraio 2014

Specie e razza. Piccolo riassunto storico.

Il termine specie deriva dal latino "species" e significa "tipo", per cui in prima istanza possiamo dire che la specie indica i differenti "tipi" di organismi biologici.
Nel corso dei secoli la parola "specie" ha cambiato più volte di significato, ed è stato utilizzato nei modi più differenti.; ancora oggi non esiste una definizione universalmente accettata di specie.

Il primo studioso che utilizzò la parola specie, insieme a quella di genere, fu Aristotele il quale si riferiva con il termine di genere alle "comunità più elevate" mentre col termine di specie indicava le loro unità componenti.

In seguito, ai tempi di Carl Nilsson Linnaeus (1707-1778) la specie venne intesa come un gruppo di individui simili e separati da altri individui da una netta discontinuità.
Questo concetto basato sull'aspetto (concetto morfologico di specie), fu il primo tentativo di successo di questo termine che, nonostante le evidenti limitazioni, anche di carattere soggettivo, permetteva di classificare arbitrariamente gli organismi.

Il successo del concetto morfologico di specie fu favorito anche dalla classificazione binomiale introdotta da Linneo (Carl Nilsson Linnaeus) ed ancora oggi utilizzata.

La definizione di specie può avere un origine tipologica, morfologica e biologica.
Come origine tipologica della definizione di specie, s'intende l'insieme di individui riconducibili ad un modello morfologico ben definito e fondato sulle caratteristiche desunte da un individuo che è considerato l'istitutore della specie.

L'origine morfologica della specie, invece, corrisponde ad un modello morfologico (morfospecie) che tiene conto della variabilità intraspecifica desunta dall'esame del maggior numero possibile di individui anche provenienti da diversi luoghi.

L'origine biologica, invece, è definita sulla base dell'isolamento riproduttivo degli individui di una determinata popolazione; in questo caso sono state proposte tre differenti versioni della definizione:
Insieme di individui simili derivanti da una successione ininterrotta e continua di generazioni;
Gruppo di popolazioni naturali effettivamente o potenzialmente capaci di riprodursi per incrocio;
La più ampia e comprensiva comunità di individui sessuali e fertili negli incroci, aventi lo stesso pool genico.

La razza
L'origine della parola "razza" sembra derivare dal francese medioevale "haràz, haràs che significava "allevamento di cavalli" in particolare di stalloni selezionati.
Normalmente è uso utilizzare la parola razza come una coorte (termine che indica un livello di classificazione scientifica degli organismi viventi, oggi obsoleto) di popolazioni locali, che abitano differenti zone dell'area geografica di distribuzione di una specie e che differiscono tra loro per una o più caratteristiche.
Secondo alcuni, invece, indica una varietà locale fissata geneticamente, e derivante da una specie d'origine da cui differisce per cause ambientali o artificiali (es: intervento umano nella selezione dei caratteri d'interesse).
Oggi col termine razza si tende a definire gruppi di animali o piante selezionate "meccanicamente" dall'uomo per ottenere caratteri fenotipici (ovvero l'aspetto di un organismo) di un qualche interesse antropico come produrre frutta e verdura più grandi o più resistenti ai pesticidi oppure, semplicemente, incrociare animali per ottenere caratteristiche volute (un bue più forte, un cavallo più veloce, un gatto dal pelo molto folto ecc ecc...).

Razze e uomo
Il primo tentativo di classificazione della popolazione umana, basato sul colore della pelle, fu probabilmente opera degli antichi egizi di cui si trovarono alcuni ritrovamenti archeologici, come ad esempio una stele nel sud dell'Egitto e risalente al XIX secolo a.C, che testimoniarono queste distinzioni razziali.
Questa stele, infatti, avvisava le persone con color della pelle nera di non oltrepassare il confine, con la sola eccezione di chi volesse commerciare con il regno.
Qui di seguito la traduzione della stele:



"Frontiera Sud. Questo confine è stato posto nell'anno VIII del Regno di Sesostris III, Re dell'Alto e Basso Egitto, che vive da sempre e per l'eternità. L'attraversamento di questa frontiera via terra o via fiume, in barca o con mandrie, è proibito a qualsiasi nero, con la sola eccezione di coloro che desiderano oltrepassarla per vendere o acquistare in qualche magazzino"

Il greco Erodoto (V secolo a. C.) descrisse meticolosamente un gran numero di popoli con grande attenzione per i costumi e l'aspetto fisico.
Anche gli antichi Greci e Romani facevano riferimento al colore della pelle per distinguere le diverse tipologie di umani.
I greci disprezzavano qualunque straniero e li chiamavano "barbari", cioè balbettanti, perché non sapevano parlare il greco.
Mentre possiamo far risalire ad Aristotele le prime classificazione tassonomiche (IV secolo a.C.), fu il naturalista Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) a dare una prima spiegazione delle differenze fisiche tra gli africani e gli europei supponendo che queste differenze fossero una conseguenza diretta del clima.
Un maggior contributo in questo campo, si ebbe nel Settecento, quando era fiorente l'interesse per la classificazione di animali e piante e furono accumulate sufficienti conoscenze geografiche.
Fu in questo periodo che comparvero molte pubblicazioni ed elenchi di razze o varietà ad opera di persone come Linneo (= Carl Nilsson Linnaeus, 1707-1778) o dell'anatomista J.F. Blumenbach (1752-1840).
Linneo fu il primo a classificare l'uomo all'interno della specie Homo sapiens e dopo qualche anno da questa prima classificazione suddivise il genere Homo in:

  • Homo americanus 
  • Homo europeus 
  • Homo asiaticum 
  • Homo afer 


Accompagnando ogni partizione con caratteristiche identificative del gruppo.
Fu Blumbenbach, invece, il primo a classificare le varie razze umane in base al colore della pelle. Egli affermò che la specie umana è una sola, suddivisa in cinque varietà:

  • Caucasica (bianca) 
  • Mongolica (gialla) 
  • Etiopica (comprendente tutti gli africani, nera) 
  • Americana 
  • Malese (abitanti delle isole del sud Est asiatico e della parte di Oceania allora conosciuta) 

Blumbenbach riteneva che il colore originario della specie umana fosse il bianco e gli altri fossero delle varianti.
All’inizio dell’Ottocento, furono suggeriti altri sistemi per distinguere le razze umane.
L’anatomista svedese Anders Retzius (1796-1860), Si discostò dal criterio del colore della pelle, che riteneva insoddisfacente per la classificazione delle razze, ed introdusse l’indice cefalico, ovvero il rapporto tra la larghezza e la lunghezza del cranio.
Questo indice ebbe un enorme successo nell’antropologia fisica, perchè era molto semplice effettuare queste misurazioni sia in individui viventi e non (crani fossili).
Inoltre sembrava un metodo molto preciso ma, dopo la seconda guerra mondiale, ne furono riconosciute la bassa ereditarietà e la sensibilità agli effetti ambientali a breve termine, dimostrando che questo indice non era preciso come si pensasse.
Fu verso la metà del diciannovesimo secolo che le teorie relative alla superiorità ed inferiorità di alcune razze rispetto ad altre trovarono la loro espressione sistemica dividendosi in due correnti di pensiero:

  • Si tentò, in primis, di giustificare su un piano scientifico l’istituzione della schiavitù dei "negri" da parte degli Americani seguiti, in Inghilterra, dai sostenitori del movimento anti-abolizionista, tra cui il suo stesso promotore James Hunt
  • Successivamente, in Europa, comparvero le opere del conte Gobineau in Francia e di H. S. Chamberlain in Germania.
Il conte Joseph Arthur Gobineau, nel suo Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane (1853–1855) espose l’idea che la razza superiore fosse rappresentata dai tedeschi, che riteneva essere i discendenti più puri di un popolo mitico, gli ariani. Cercando la causa della decadenza delle civiltà, riteneva di averla individuata nelle mescolanze etniche, che avrebbero ridotto la vitalità della razza aumentandone la corruzione.

Negli U.S.A, l’abolizione della schiavitù fece scomparire le ideologie dei primi teorici della razza sia americani che inglesi, ma in Europa le tesi razziste di Gobineau e altri, nonostante prive di qualsiasi fondamento, riscossero un grande successo, soprattutto in Germania, dove divennero un caposaldo dell’ideologia nazista e una delle cause principali dell'olocausto della II Guerra Mondiale.
Fu in questo periodo che venne coniato il termine razzismo per indicare l’utilizzazione del concetto di razza per fini politici.

Lo sviluppo dell'idea di razzismo, trova la sua massima espressione nel XX secolo, con la combinazione di fattori quali il colonialismo, l'urbanizzazione, le spinte nazionalistiche e, soprattutto, con lo sviluppo scientifico e medico.
Infatti, si fanno sempre più frequenti i tentativi di trovare appigli scientifici in discipline come l'antropologia e la biologia che possano affermare l'origine genetica delle differenze razziali, al puro scopo di rendere la propaganda nazista ancora più potente ed in un certo qual modo giustificata.
Il mondo scientifico fu così fortemente coinvolto in questa ossessionante ricerca di giustificazioni scientifiche; alcuni furono coinvolti consapevolmente, poiché appoggiavano le ideologie naziste, altri invece, in modo del tutto inconsapevole, videro i loro lavori di ricerca manipolati al punto di diventare determinanti per l'ascesa e l'affermazione del pensiero razzista (darwinismo sociale ed eugenetica).
Le varie teorie, prese in esame e manipolate ad arte dal regime, trovarono anche forte appoggio per la creazione dello stereotipo razziale non solo dal punto di vista scientifico (concetto di razza, di specie superiore...) ma anche grazie ad una sempre maggiore distinzione del genere umano in altri ambiti, in particolare la filologia e la linguistica.
Oggi, il concetto di razza è ormai decisamente superato a causa della sua indefinibilità. Purtroppo ne rimane traccia nel linguaggio comune, retaggio di un passato nero dell'umanità.

Charles Darwin
(1809-1882)

Darwin ne "l'origine dell'uomo e la scelta in rapporto al sesso" (1871), enumerò le argomentazioni del suo tempo inerenti l'interfertilità completa (ovvero ogni essere umano può creare prole fertile con qualunque individuo appartenente a qualunque "razza").
Sfidando le credenze del suo tempo, Darwin concluse che la specie umana è probabilmente una sola, dal momento che "ogni razza confluisce gradualmente nell'altra" e che le "razze umane non sono abbastanza distinte tra loro da abitare la stessa regione geografica senza fondersi; e l'assenza di fusione offre la prova usuale e migliore della distinzione tra specie."
Darwin giustificava i problemi di classificazione, che alcuni gli fecero notare, citando dodici autori nessuno dei quali concordava sul numero di razze esistenti (variavano da 2 a 63); questo disaccordo, per Darwin, era una prova ulteriore della difficoltà sullo scoprire caratteri distintivi chiari di separazione tra le razze, poiché esse confluiscono gradualmente l'una nell'altra.
Per quanto riguarda l'origine di questa variabilità, Darwin asseriva che "non si possono spiegare in modo soddisfacente le differenze dei caratteri esteriori tra razze umane imputandole all'azione diretta delle condizioni di vita; le differenze tra le razze umane come il colore della pelle e la fisionomia sono di tipo tale che si sarebbe potuto aspettare sopravvenissero per influenza della selezione sessuale"

Franz Boas
(1858-1942)
Fu un antropologo americano tra i primi a mettere in dubbio la stabilità evolutiva delle variazioni fenotipiche quantitative e la maggior parte dei caratteri antropometrici, opponendosi in modo coraggioso al razzismo sia popolare che scientifico del suo tempo.
Egli è stato un pioniere nell'utilizzare un approccio scientifico negli studi antropologici. Inoltre, grazie alle sue ricerche, evidenziò la necessità di studiare, delle diverse popolazioni, la cultura sotto ogni suo aspetto, inclusa la religione, l'arte ed il linguaggio allo stesso modo delle caratteristiche fisiche, introducendo in questo modo un metodo che ancora oggi viene utilizzato.
Con i suoi studi giunse alla conclusione che non esiste una razza pura e che nessuna razza è superiore ad un'altra.


"Troppi studi sulle caratteristiche psichiche delle razze si basano prima di tutto sulla presunta superiorità del tipo razziale europeo e poi sull'interpretazione di ogni deviazione da questo come segno di inferiorità mentale. Quando il prognatismo dei negri viene interpretato in tal senso, senza che si sia provata una connessione biologica tra la forma delle mascelle e il funzionamento del sistema nervoso, si commette un errore paragonabile a quello di un cinese che descrivesse gli europei come mostri irsuti, il cui corpo villoso è una prova di inferiorità. Questo è un ragionamento di tipo emotivo, non scientifico."


" … Ciò nonostante , si tende a dare una base biologica a classificazioni cui si è giunti in maniera del tutto irrazionale …"


Il libro "L’uomo Primitivo" di Franz Boas può essere considerato il suo libro più popolare. Dal momento della sua comparsa divenne bersaglio preferito dei sostenitori della tesi della superiorità razziale (fu uno dei volumi che i nazisti diedero alle fiamme il 10 maggio 1943); in successive pubblicazioni che tenevano conto dei risultati delle ricerche svolte nel frattempo venne aggiornato ed i risultati definitivi confermarono le conclusioni iniziali, ovvero che non esistono correlazioni fisiche o mentali che rendano una determinata razza superiore ad un altra.


"… abbiamo dimostrato che la forma corporea non può essere stabile in senso assoluto e che le funzioni fisiologiche, mentali e sociali, dipendendo dalle condizioni esterne, sono assai variabili, tanto da non sembrare plausibile un’intima relazione tra razza e cultura."


"Non c’è alcuna differenza fondamentale tra il modo di pensare dell’uomo primitivo e quello dell’uomo civile. Né s’è mai potuto accertare uno stretto rapporto tra razza e personalità. Il concetto di tipo razziale quale si ritrova comunemente anche nella letteratura scientifica è fuorviante e richiede una nuova definizione sia logica che biologica".

La tesi iniziale di Boas fu geniale e si basava sul fatto che razza, linguaggio e cultura sono da considerarsi come delle variabili indipendenti, ovvero ad una stessa razza può corrispondere una o l'alta lingua o una o l'altra cultura.

Nonostante fosse diffuso, tra gli antropologi, il rifiuto di accettare un'interpretazione razziale della storia, questi non costituivano un gruppo compatto, né uniformi erano i loro tentativi di correggere tali aberrazioni scientifiche.
Le loro ricerche non consideravano le implicazioni socio politiche della dottrina che rifiutavano e non potevano appoggiarsi ad altri lavori poiché non vi erano rigorosi studi scientifici da cui poter trarre conclusioni da un'analisi misurata, seria ed oggettiva.
È stato necessario, quindi, attendere che il campo della genetica si sviluppasse sulla base delle leggi di Mendel, al punto da porre il problema dell'evoluzione in termini di geni, cromosomi e mutazioni (a partire dal 190-1930).

Uno dei pionieri in questo campo fu Ludwick Hirszfeld (1884-1954), nato a Varsavia e professore di microbiologia e immunologia. Fu inoltre sierologo di fama mondiale co-Organizzatore dell'accademia Polacca delle scienze.
Durante la 1° Guerra Mondiale, fu medico al seguito dell'esercito serbo. In questa occasione aveva avuto modo di verificare, mediante test sierologici, che la distribuzione dei tipi sanguigni A e B variava in modo significativo tra soldati di diversa provenienza etnica e propose un indice biochimico per distinguere le popolazioni sulla base di questi antigeni.

Per primo riconobbe che la chiave per ricostruire una storia biologica dei popoli e degli individui andava ricercata non nel confronto di tratti fisici, chiaramente influenzati dall'ambiente esterno, ma in sottili variazioni chimiche presenti nelle cellule e trasmesse alla progenie secondo rigorose leggi ereditarie.

Nel 1941, Ludwick Hirszfeld fu rinchiuso nel ghetto di Versavia assieme ad altri 400000 ebrei e lì prestò servizio come medico, organizzando, in condizioni sanitarie terribili, la prevenzione e la cura delle malattie infettive.
Nonostante ciò, migliaia di persone furono deportate, morirono di epidemie, di freddo e di fame e fu anche grazie ai suoi diari se oggi sappiamo qualcosa in più su quel terribile periodo della nostra storia.

A partire dagli anni '30, l'immunologo americano W. Boyd utilizzò le informazioni relative alle frequenze geniche del sistema ABO e degli altri gruppi sanguigni allora conosciuti (MN e P) per ricostruire la storia evolutiva della specie umana e la differenziazione delle razze.
Boyd e altri cominciarono anche a studiare gli antigeni ABO nelle mummie anche se queste ricerche incontrarono molti ostacoli e critiche a causa della possibilità di contaminazione con antigeni batterici simili e della possibile distruzione degli antigeni ABO da parte di enzimi batterici.

Il contributo di R.A.Fischer (1890-1962) allo studio teorico della struttura del sistema rh, scoperto nel 1940, e delle sue applicazione in campo evoluzionistico fu di grande stimolo per le ricerche sui gruppi sanguigni in Gran Bretagna.
Grazie al grande studioso dell'evoluzione umana mediante analisi di marcatori genetici, Arthur Mourant (1904-1994), si migliorò notevolmente la ricerca in campo della genetica di popolazioni; grazie alla sua esperienza di ematologia genetica, egli poté caratterizzare molti gruppi etnici interessanti e pubblicò, nel 1954, la prima tabulazione moderna di dati di frequenze geniche fornendone un'interpretazione evolutiva.


Luca Cavalli - Sforza
Il lavoro di Luca Cavalli - Sforza, s'inserisce in questa tipologia di ricerche.
Lavorò direttamente con Fischer, ed oggi è considerato il massimo esperto mondiale sullo studio della diversità genetica delle popolazioni e su quanto essa ci può dire sull'albero filogenetico dell'umanità.
L'originalità dei suoi studi va ricercata nel suo approccio interdisciplinare allo studio della storia dell'uomo, secondo cui la conoscenza sia dei meccanismi genetici, sia di quelli culturali, ed in special modo linguistici, consente di fornire spiegazioni convincenti dell'evoluzione del genere umano.
Egli ha utilizzato la convergenza di dati genetici, studiando il genoma di un gran numero di gruppi etnici diversi e più di cento differenti alleli, e dati acquisiti da altre scienze (archeologia, linguistica, antropologia, storia, demografia e statistica) per ricostruire un albero completo della discendenza dei popoli, nel quale geni e linguaggi vanno di pari passo, fornendo in modo evidente la prova della "co-evoluzione" genetica e culturale e riuscendo a liberare da presupposti erronei la controversa nozione di razza.

Il suo immenso lavoro si concretizzo nel 1994 in "Storia e geografia dei geni umani" (The History and Geography of human genes), la sua pubblicazione più famosa, che riporta il percorso scientifico da egli compiuto per inseguire il sogno di individuare il luogo di origine della specie umana e ricostruire le vie attraverso le quali questa ha successivamente popolato l'intero mondo.

Oggi, il concetto di razza nel mondo scientifico è confinato in ambito zootecnico ovvero quando si parla di incroci realizzati dall'uomo per determinati scopi.
Nonostante la quasi totale scomparsa dal mondo scientifico di tale definizione non bisogna abbassare la guardia anzi, è necessario divulgare i concetti scientifici a chi non è solito vivere di scienza in modo da ridurre al minimo l'ignoranza che potrebbe essere terreno fertile per chi vuole manipolare le persone a proprio vantaggio.
Solo conoscendo ed informandoci possiamo combattere il razzismo che rimane latente nella nostra società, nascondendosi nell'ignoranza e in quelle persone che vedono in questo concetto populista e falso, la possibilità di un terreno fertile di propaganda per il proprio tornaconto personale.
Sapere è potere, ricordiamolo SEMPRE!