venerdì 25 ottobre 2013

Intorno a noi ma invisibili: i protozoi

 
Negli anni settanta del XVII secolo, l’olandese Antony van Leeuwenhoek, mercante e fabbricante di lenti, osservò e descrisse per la prima volta gli organismi unicellulari simili ad animali che oggi vengono chiamati protozoi.
Da allora, sono state descritte circa 35000 specie fossili e circa 30000 specie viventi.
Ma cosa sono i protozoi?
I protozoi sono organismi molto semplici sotto ogni punto di vista; la maggior parte di loro conduce vita libera e sono presenti in tutto il mondo ed in tutti i tipi di ambienti acquatici, compreso il terreno umido.
Molte specie di protozoi sono parassite, e alcune delle malattie più dannose nel mondo sono provocate da protozoi.
Come membri del regno protista (gruppo eterogeneo e polifiletico di organismi, che comprendono quegli eucarioti che non sono considerati né animali né piante o funghi), i protozoi differiscono dagli organismi pluricellulari in quanto tutti i loro processi vitali si svolgono all’interno di una singola cellula (organismi unicellulari).
La diversità dei protozoi deriva principalmente dalle specializzazioni nelle membrane e negli organuli cellulari; organi caratteristici dei protozoi sono i vacuoli alimentari (funzione digestiva) ed i vacuoli pulsanti, con funzione di escrezione.


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                                     Fig.1: Schema di un protozoo generico (Paramecium)

Alcuni protozoi sono coloniali, e formano così aggregati di cellule pressoché identiche tra loro, ma nessun protozoo possiede tessuti.
Inoltre, poiché i protozoi sono piccoli ed il loro rapporto superficie/volume è elevato, possono effettuare scambi gassosi e circolazione delle sostanze senza l’utilizzo di organuli specializzati.
La circolazione, solitamente avviene per diffusione intracellulare di sostanze disciolte ed i rifiuti azotati vengono eliminati sotto forma di ammoniaca che diffonde facilmente attraverso la membrana cellulare.
Frequente è l' incistamento, cioè l' eliminazione di buona parte dell'acqua citoplasmatica e il rivestimento di un involucro protettivo, denominato cisti, che resiste alla siccità e alle condizioni atmosferiche avverse. L'incistamento consente ai protozoi di diffondersi ampiamente, resistendo a situazione ambientali che per loro risulterebbero estreme.
Il fenomeno dell’incistamento è piuttosto raro nelle forme marine.
Generalmente i protozoi sono caratterizzati da forme ben definite (ad eccezione delle amebe e alcuni rizopodi), con diverse simmetrie (raggiata, sferica o bilaterale). Le loro dimensioni variano da circa 0.05mm a circa 5mm e soltanto dopo l’introduzione del microscopio elettronico è stato possibile osservare molta della diversità strutturale e della complessità dei protozoi.

MORFOLOGIA
Membrana plasmatica: delimita il corpo cellulare dell’organismo. La struttura più diffusa è caratterizzata da un “mosaico fluido proteico” avvolto da un doppio strato lipidico.
La membrana plasmatica ha la funzione principale di assumere sostanze nutritive, attraverso osmosi, fagocitosi, pinocitosi, citostomi … e di eliminare le scorie (escrezione) attraverso diffusione, esocitosi o attraverso il citopigio (apertura tipica di alcuni protozoi con funziona escretoria).

Glicocalice: È la parte più esterna della membrana plasmatica con funzioni di:

- Barriera chimica e meccanica
- Interazione ospite-parassita
- Riconoscimento e ancoraggio al substrato ed a particolari strutture
- Proprietà antigeniche
Parete cistica: Si forma quando un protozoo passa dalla forma vegetativa a quella di cisti. La cisti è una forma di resistenza a fattori ambientali sfavorevoli. Questa parete protegge il protozoo dall’ambiente esterno e si origina dal rafforzamento esterno della membrana plasmatica grazie alla secrezione e al riassetto di particolari molecole (fosfoproteine, lipoproteine).
Citoplasma: è la parte interna del protozoo che contiene numerose strutture e vari organuli
Il citoplasma contiene:

- Citoscheletro: è un complesso di elementi contrattili (filamenti di actina, miosina), organizzati in microtubuli, che sono responsabili del flusso citoplasmatico e, nelle amebe, del loro movimento “ameboide”
- Mitocondri: sono presenti nei protozoi aerobi, sono simili a quelli degli organismi più evoluti (metazoi).
La maggior parte dei protozoi possiede un unico lungo mitocondrio contenente un cinetoplasto, che è un organello all’esterno del nucleo a forma di bastoncello, ricco di dna, che governa la funzione respiratoria.

- Idrogenosomi: presenti nei protozoi anaerobi; sono considerati analoghi ai mitocondri dal punto di vista funzionale ma lavorano in condizioni di anaerobiosi.
- Reticolo endoplasmatico: ricco di ribosomi
- Apparato di Golgi: non è presente in tutti i protozoi.
- Lisosomi: contengono enzimi litici.

Nucleo: contiene il DNA dell’organismo organizzato in cromosomi in numero e forma variabili. Sono presenti nucleoli contenenti RNA e non è raro trovare cellule polinucleate (con più nuclei).
I protozoi ciliati possiedono un micronucleo (funzione riproduttiva) ed un macronucleo (funzione trofica).


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                 Fig2: Altra immagine semplificata della struttura di un protozoo generico
                                              MOVIMENTO
La locomozione può avvenire grazie alla presenza di strutture quali ciglia (generalmente molto numerose e corte) o flagelli (lunghi e presenti da uno a 8, a seconda dell’organismo).
Particolare tipologia di locomozione è quella delle amebe, che sfruttano il movimento degli pseudopodi (=l'estroflessione mobile del citoplasma di un organismo unicellulare) per muoversi col tipico “movimento ameboide” che li caratterizza. Ciglia e flagelli possono anche avere funzione, nella maggior parte dei casi, sensoriale.

                                   RIPRODUZIONE
I protozoi presentano svariate modalità di riproduzione. Tutti sono in grado di riprodursi asessualmente per scissione binaria, per scissione multipla o per gemmazione; le cellule figlie rigenerano eventualmente gli organuli non ripartiti equamente; Alcuni protozoi si riproducono esclusivamente per via asessuale.
La riproduzione sessuale è anch’essa molto comune e prevede sia la formazione di isogameti sia di anisogameti, questi ultimi anche ben differenziati come spermi e uova; nei Ciliati la riproduzione sessuale prende la forma di coniugazione, che non comporta la differenziazione di gameti; più rara è l'autogamia, ovvero L'unione di gameti, maschile e femminile, provenienti dallo stesso individuo (organismo ermafrodito).
Forme cistiche si possono formare anche intorno agli zigoti o intorno a individui prima che avvengano i vari processi riproduttivi. La formazione delle cisti ha un ruolo importante, ma non esclusivo, anche nella dispersione dei protozoi nell’ambiente esterno poiché ne conferiscono resistenza all’ambiente favorendone così il trasporto anche lontano.

                                             Classificazione

La classificazione dei Protozoi non è semplice ed è continuamente soggetta a modificazioni da parte degli specialisti, poiché le nuove tecnologie e l’utilizzo della biologia molecolare permettono di classificare in maniera differente e più precisa gli organismi viventi.
Per cui utilizzerò una delle tante classificazioni possibili, quella che considero più semplice e sicuramente utile anche a chi non è strettamente connesso col mondo scientifico e della sistematica.
Ci sarebbero 6 phyla di protozoi di cui 4 sono quelli più numerosi e di interesse per l’uomo.


                        PHYLUM SARCOMASTOGOPHORA (Sarcomastigofori)
Questo phylum comprende tre tipi di protozoi. Quelli che si muovono per mezzo di prolungamenti citoplasmatici detti pseudopodi sono detti amebe; quelli che hanno uno o più flagelli sono detti flagellati; mentre gli ameboflagellati hanno sia pseudopodi che flagelli durante differenti stadi del ciclo biologico.
L’esistenza degli ameboflagellati indica che le amebe ed i flagellati sono strettamente affini ed è questa la ragione per cui questi organismi vengono inseriti nello stesso phylum.

Amebe: Le specie del genere Amoeba sono molto comuni sul fondo degli stagni e dei laghi d’acqua dolce dove si muovono e si alimentano mediante l’azione degli pseudopodi. Il loro ciclo biologico comprende uno stadio di cisti dormiente che permette loro di sopravvivere ai periodi di siccità mentre durante lo stadio di ameba “attiva” detto trofozoite, si riproducono per via asessuale (scissione binaria).
Molte amebe sono rivestite da una singola membrana cellulare detta plasma lemma ma alcune amebe possiedono anche un involucro esterno detto guscio o teca che circonda e protegge il plasma lemma (Es. Arcella e Chlamydophrys). Il guscio è formato da secreti proteici induriti e talvolta rivestiti da granuli di sabbia o scaglie silicee.
Gli pseudopodi vendono chiamati lobopodi se sono larghi, a forma di vanga o tubolari (Es. Arcella) mentre sono detti filopodi quando sono filiformi e sottili verso le estremità (Es. Chlamydophrys).


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                                      Fig3: Esempio di ameba (Amoeba proteus)

I foraminiferi, un grande gruppo di amebe marine, sono molto importanti ecologicamente. La maggior parte delle specie secerne un guscio (nicchio) di carbonato di calcio nel quale l’ameba vive.
Per muoversi utilizzano dei prolungamenti cellulari molto ramificati detti reticulopodi (o rizopodi o anche mixopodi). Questo reticolo permette ai foraminiferi di strisciare lentamente sul fondo del mare; inoltre questo reticolo è rivestito da un muco appiccicoso che viene utilizzato per catturate microrganismi usati come alimento. Si stima che 1/3 del fondo degli oceani e dei mari del mondo sia ricoperto di spessi depositi di gusci di carbonato di calcio provenienti da foraminiferi fossili. Le bianche scogliere di Dover sono costituite da foraminiferi fossili.
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                                                                Fig.4: Foraminiferi

Un altro gruppo di amebe sono gli attinopodi, detti anche radiolari o eliozoi. Sono protozoi sia d‘acqua dolce che marini i quali secernono scheletri complessi. Gli attinopodi hanno pseudopodi simili ad aculei, molto sottili alle estremità, detti assopodi. Questi s’irraggiano dal corpo cellulare centrale sferico. La forma sferica degli attinopodi è sostenuta da uno scheletro interno. Gli attinopodi si muovono rotolando lentamente qua e là come plancton oppure sul fondo di laghi, oceani e mari retraendo e allungando gli assopodi.

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                                                         Fig.5: Radiolari (attinopodi)
Molte amebe sono parassite e si trasferiscono da un ospite all’altro come cisti dormienti. Entamoeba histolytica comprende uno stadio ameboide attivo che vive nell’intestino umano ed una cisti sferica che viene espulsa attraverso le feci. La malattia è più frequente nelle zone tropicali e, in generale, dove le condizioni sanitarie sono mediocri. I soggetti s’infettano ingerendo la cisti.

Flagellati: Sono rivestiti da una pellicola, un involucro composto da una o più membrane cellulari e frequentemente rinforzato da microtubuli sottostanti. Questo rivestimento rende i flagellati meno flessibili delle amebe e, mentre gli pseudopodi posso sporgere da qualsiasi regione di un ameba, i flagellati conservano tipicamente una forma particolare.
Euglena gracilis, comune negli stagni d’acqua dolce, ha tipicamente una forma allungata con una estremità anteriore arrotondata ed estremità posteriore assottigliata.
Molti flagellati sono autotrofi simili a piante e contengono granuli verdi, giallastri o rossi, detti plastidi.
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                                                        Fig.6: Euglena gracilis

Altri invece sono eterotrofi, incolori e più simili ad animali. Alcuni però sono autotrofi, ma sono anche capaci di nutrizione eterotrofica.
Un esempio di quest’ultima particolarità possiamo a verla coltivando in laboratorio colture di E. gracilis; si è notato che, se le si coltivano nell’oscurità, perdono la propria capacità fotosintetica (perdono i plastidi) e appaiono di una colorazione molto neutra. Se a questi nuovi individui, privi di attività fotosintetica, vengono fornite sostanze nutritive organiche disciolte, gli individui possono sopravvivere e riprodursi per anni come eterotrofi. Inoltre, se tali individui vengono esposti alla luce, compaiono cloroplasti attivi e gli organismi possono ridiventare autotrofi.

Molti flagellati sono parassiti. Le specie di Trypanosoma, per esempio, infettano l’apparato circolatorio di molti vertebrati. La tripanosomiasi africana (o malattia del sonno dell’Uganda) e la malattia di Chagas (tripanosomiasi americana o brasiliana o sudamericana) sono causate da tripanosomi che infettano l’uomo attraverso organismi vettore o per contatto diretto in ambienti acquatici ricchi di questi flagellati.
Anche l’economia in alcune regioni africana è stata compromessa da alcune tripanosomiasi; in particolare da una tripanosomiasi detta “Nagana” la quale uccide bovini, equini ed altri animali d’allevamento.
La tripanosomiasi africana e il Nagana sono trasmessi da mosche tse-tse, insetti ematofagi che possono trasmettere gli stati infettivi dei parassiti.
La malattia di Chagas viene trasmessa all’uomo da insetti ematofagi della famiglia dei “reduvidi” (reduviidae).

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                                                     Fig.7: Esempio di Trypanosoma

Euglena e Trypanosoma hanno un solo flagello mentre molti flagellati hanno 2 o più flagelli; le specie di Trychonympha, che vivono nell’intestino delle termiti e delle blatte xilofaghe e digeriscono la cellulosa contenuta nel legno ingerito dagli ospiti, hanno molti flagelli.
 
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                                                  Fig.8: esempio di Trychonympha

Molti flagellati sono aggregati coloniali costituiti da un piccolo numero a molte migliaia di cellule. Le colonie si sviluppano nel momento in cui le cellule si dividono, rimanendo però attaccate fra loro. Le specie di Volvox sono autotrofi coloniali, costituiti da colonie di colore giallo o verde, talmente grandi da essere visibili ad occhi nudo. Le colonie di Volvox sono comuni negli habitat d’acqua dolce poco profonda, si muovano ruotando lentamente grazie alla forza combinata di migliaia di flagelli vibranti (due su ciascuna delle cellule della colonia).
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                                                           Fig.9: Volvox

Un altro gruppo di flagellati interessante sono i coanoflagellati. Possono essere sia cellule solitarie che colonie e le loro cellule sono tipicamente peduncolate ed hanno un collare trasparente che circonda un singolo flagello. Il flagello, con la sua azione, convoglia verso il collare le particelle in sospensione nell’acqua. Il collare può agire come un setaccio, catturando piccole particelle che vengono ingerite dal copro cellulare.
Per struttura e modo di alimentarsi i coanoflagellati somigliano strettamente ai coanociti (cellule con collare) dei poriferi (spugne) e molti zoologi ritengono che i poriferi si siano originati da protozoi simili ai coanoflagellati.
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                                     Fig.10: Coanoflagellati (singola cellula e colonia)


Ameboflagellati: Tra questi organismi, amebe dotate di flagelli, i più comuni sono le specie del genere Naegleria, che abitano il terreno umido e gli ambienti d’acqua dolce ricchi di sostanza organica. Talvolta possono trovarsi sul fondo di piscine non adeguatamente igienizzate. Una specie, Naegleria fowleri, può causare una malattia umana letale, la meningoencefalite amebica se riesce a raggiungere l’encefalo attraverso le narici.
Le specie di Naegleria sono tipicamente ameboidi in condizioni favorevoli, ma si possono sviluppare stadi flagellati quando scarseggiano le sostanze nutritive. I ricercatori ipotizzano che i flagelli permettano a Naegleria di allontanarsi nuotando dagli habitat sfavorevoli e di dirigersi verso quelli favorevoli.
                                
                                          PHYLUM APICOMPLEXA (Apicomplessi) 
Questo phylum deve il suo nome ad un complesso di organuli situati all’estremità assottigliata, o apice, della cellula. Tutti gli Apicomplexa sono parassiti, e gli organuli apicali permettono loro, probabilmente, di penetrare attraverso le membrane cellulari o gli strati di tessuti de loro ospiti.
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                                                  Fig.11: Apicomplexa generico

Il ciclo biologico della maggior parte degli Apicomplexa comprende la moltiplicazione asessuale per scissione multipla (schizogonia), una fase sessuale detta gametogonia, ed una fase asessuale detta sporogonia. La maggior parte degli Apicomplexa appartiene alla classe Sporozoea (sporozoi), che comprende due sottoclassi Gregarine (parassiti extracellulari che abitano il cavo orale ed il canale alimentare di molti invertebrati), e Coccidia (coccidi) che sono spesso parassiti intracellulari di molti animali domestici che causano importanti malattie (Toxoplasma gondii, generalmente innocuo per un umano adulto ma molto dannoso per un feto).
I coccidi più importanti dal punto di vista delle patologia umane sono sicuramente le specie appartenenti al genere Plasmodium, tra cui troviamo gli organismi che causano la malaria. Il ciclo biologico dei Plasmodium è molto complesso ed implica riproduzione asessuale, che avviene con modalità differente negli ospiti di questo protozoo) ed una fase sessuale con stadi in entrambi gli ospiti.

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                                                Fig.12: Plasmodium malariae

             
                                      PHYLUM MICROSPORA (Microsporei)
I Microsporei sono parassiti intracellulari che formano spore particolari formate da un corpo centrale di sporoplasma ed un filamento cavo ( tubo) convoluto il quale si estroflette quando la spora viene assimilata dall’ospite e lo sporoplasma viene iniettato nell’ospite stesso attraverso il tubo che nel frattempo si estroflette. Come gruppo, infettano un’ampia varietà di animali nella maggior parte dei phyla, e molte specie sono “ospite-specifiche” ovvero infettano un’unica specie ospite.
Lo stadio infettivo dei Microsporei è dato dallo stadio di spora, le quali sono minuscole (5µm). Particolarità di queste spore è che non possiedono mitocondri, per cui ricavano l’energia necessaria al loro accrescimento e sviluppo dall’ospite parassitato. Dal punto di vista economico-commerciale sono importanti le specie di Nosema che causano malattie nelle api domestiche e nei bachi da seta.


                                          PHYLUM CILIOPHORA (ciliofori) 
I ciliati (ciliofori) rappresentano il phylum più numeroso di protozoi e sono caratterizzati dalle ciglia e da un processo riproduttivo sessuale detto coniugazione. Possiedono, inoltre, una pellicola pluristratificata sostenuta da fibrille sottostanti, e da due differenti tipi di nuclei; un macronucleo ed uno o più micronuclei.
Il macronucleo dei ciliati e tipicamente poliploide (cioè ha multipli del numero diploide di cromosomi: 2, 4, 6….2*n) ed ha il compito di regolare l’alimentazione, gli scambi gassosi, l’osmoregolazione e altre funzioni non-riproduttive. I micronuclei invece sono diploidi e subiscono la meiosi prima della coniugazione. Durante la coniugazione, vengono scambiati micronuclei aploidi tra gli individui (ciò fornisce variabilità genetica al novo individuo in formazione).

I ciliati sono presenti frequentemente in gran numero in pozze stagnanti d’acqua dolce o salata, nonché nel terreno umido.
Parecchie specie sono mantenute in coltura e sono diventate organismi importanti nella ricerca come, ad esempio, alcune specie di Paramecium di cui si sono interessati biologi cellulari, genetisti ed ecologi scrivendo anche molti libri a riguardo.

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                                       Fig.13: Paramecium, esempio
Le cellule di Paramecium hanno una tipica forma “a ciabatta” e sono rivestite da ciglia e presentano anche una regione orale distinta (citostoma).
Un altro ciliato, Didinium nasutum, è un predatore vorace di Paramecium che paralizza la sua preda prima di nutrirsene.
Molto usato nella ricerca, in particolare in genetica ed in tossicologia, è il piccolo ciliato d’acqua dolce Tetrahymena pyriformis; questo ciliato è grande un quinto rispetto ad un Paramecium ed è a forma di lacrima. Come Paramecium si alimenta soprattutto di batteri e può essere mantenuto in coltura per ricerche scientifiche. Degno di nota, infine, è Stentor coeruleus, considerato dagli addetti ai lavori molto bello per la sua colorazione blu. Solitamente è attaccato al substrato ma talvolta può essere trovato natante in ambiente acquatico.

Habitat e ambiente dei protozoi
I protozoi sono capaci di accrescersi e riprodursi solamente in habitat umidi poiché la loro membrana superficiale deve rimanere sempre umida per facilitare gli scambi gassosi e le altre funzioni vitali e si trovano praticamente ovunque ci sia acqua.
Popolazioni dense compaiono spesso in stagni che si prosciugano stagionalmente ed in pozze che durano pochi giorni ed anche nelle schiume superficiali di acque stagnanti.
Alcune specie si nutrono di plancton (in sospensione nell’acqua), mentre molte volte vivono attaccate a piante, animali e superfici non appartenenti ad organismi viventi.
Nel terreno umido, i protozoi vivono in piccole goccioline e pellicole d’acqua e attorno a particelle di terreno, microhabitat troppo piccoli per la maggior parte degli animali.
Le amebe, grazie al loro copro flessibile, manovrabile ed elastico, sono frequentemente abbondanti nei terreni umidi, insieme a molti piccoli ciliati e flagellati. La maggior parte dei protozoi terricoli hanno uno stadio di cisti dormiente in cui sopravvivono a periodi di gelo e siccità; quando poi il clima è più favorevole i protozoi emergono dalla loro forma di ciste per nutrirsi e riprodursi. La forma di ciste è molto utile anche perché permette la dispersione dei protozoi nell’ambiente attraverso il vento, le correnti d’acqua ed il contatto con animali.

Ruolo nelle catene alimentariLe popolazioni di protozoi sono fondamentali nelle catene alimentari acquatiche. Alla base di una catena alimentare, la fotosintesi per opera dei flagellati verdi fornisce frequentemente molta energia organica disponibile negli ambienti d’acqua dolce e marini.
Molte amebe, flagellati eterotrofi e ciliati sono predatori che si alimentano di batteri, diatomee, lieviti alghe ed altri protozoi.
Altri protozoi sono definiti “scavenger” (spazzini), poiché si alimentano di sostanza organica morta. Come i batteri, gli spazzini aiutano a decomporre le piante e gli animali morti e a riciclare le sostanze nutritive riconvogliandole nelle catene alimentari.
I batteri sono l’alimento più comune per i protozoi.
Le specie che si alimentano di batteri, e a loro volta sono consumate da piccoli animali o da altri protozoi, formano un’importante connessione nutritiva fra i batteri decompositori e gli altri organismi delle catene alimentari. Le popolazioni di protozoi che si alimentano di batteri raggiungono molto spesso un ammontare enorme; lo stesso vale per quelle specie che sono capaci di svolgere la fotosintesi. Infatti, le “fioriture”, che sono grandi popolazioni monospecifiche (= formate da una sola specie) di certi flagellati autotrofi, si formano in laghi, oceani e mari quando le condizioni ottimali promuovono la riproduzione rapida.
Le fioriture si possono presentare come vaste aree rossastre o verdastre sull’acqua.
Le famose acque rosse (red tide), comuni lungo le coste orientali e occidentali degli Stati uniti, sono causate da fioriture di una quantità enorme di flagellati, tra cui Gymnodinium brevis.
Le tossine prodotte da questi flagellati causano a volte la moria di pesci nelle zone di maggior concentrazione della tossina, e soggetti umani sono stati colpiti da paralisi o sono morti per aver ingerito prodotti pescati contaminati da queste tossine.
I protozoi sono importanti anche dal punto di vista ecologico poiché presenti ovunque e perché parassitano organismi, nutrendosi di loro, a volte in maniera asintomatica altre in modo più invasivo. Si vengono così a creare degli ospiti che in realtà fungono da “nicchia ecologica” per questi piccoli organismi, antichi e temibili abitanti del nostro affascinante pianeta.


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    Fig.14: Fenomeno del “Red tide”, dovuto alla fioritura di protozoi (in questo caso Lingulodinium polyedrum)


Bibliografia e link utili:
- Lawrence G. Michell et al. Zoologia, Zanichelli. 1999
- http://www.luciopesce.net/zoologia/protoz.html
- http://it.wikipedia.org/wiki/Protozoa
- http://www.amicidelmicroscopio.it/protozoi.php


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lunedì 21 ottobre 2013

Maclura pomifera

 
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Immagine da: http://www.naturamediterraneo.com/forum/topic.asp?TOPIC_ID=8462

Nella mia città (Modena) ci sono piante curiose che sicuramente avete avuto modo di individuare durante le vostre passeggiate. Una di queste è sicuramente la Maclura pomifera, una pianta legnosa dal portamento arboreo della famiglia delle Moraceae (come il gelso per intenderci), conosciuta nella cultura popolare anche come “melo da siepe”o “Moro degli Osagi”.
È un albero dioico, ovvero esistono piante “maschili” e “femminili”, di altezza variabile tra i 6 e 20 metri.
La corteccia di questa pianta è color bruno-arancio e contiene tannini, è rugosa ed è caratterizzata dalla presenza di molte fessure nelle piante più anziane. Vi sono inoltre spine lunghe e robuste sulle ascelle fogliari ed il legno è molto duro, compatto, resistente e flessibile. La caratteristica di questo legno ha fatto sì che questa pianta venisse usata, presso la tribù degli indiani d’America degli Osagi, come legno per la produzione di archi.
Dalle radici di questa pianta si estrae un pigmento chiamato morina, estraibile anche da “parenti” di questo albero come il gelso e l’albero del mirto. La morina è un colorante giallo molto intenso, utilizzato per la colorazione di lana e cotone e veniva anche utilizzato mescolato ad altre sostanze (come l’indaco) per produrre altri coloranti.
Le foglie sono molto simili a quelle dell’albero dell’arancio e sono caratterizzate dal possedere una parte superiore glabra ed una pagina inferiore pelosa. In passato queste foglie sono state utilizzate per nutrire i bachi da seta (Bombyx mori) ma l’introduzione di queste foglie non ebbe molto successo perché meno nutrienti rispetto alle foglie del gelso, normalmente utilizzate per l’alimentazione dei bachi.
Questa infruttescenza è un ammasso sferico di colore variabile dal giallo al verde, di consistenza legnosa/coriacea e con la superficie profondamente corrugata.
Il frutto aperto rivela una polpa biancastra da cui cola un liquido lattiginoso. Il frutto non è commestibile e se ingerito può provocare all’essere umano nausea e vomito (emetico) mentre è un frutto commestibile e ben tollerato dagli scoiattoli.
Come precedentemente detto gli Osagi utilizzavano il legno di questa pianta per produrre archi molto resistenti ma anche come rimedio contro congiuntiviti ed infiammazioni oculari.
Oggi questa pianta ha funzione ornamentale e per la realizzazione di siepi dall’aspetto impenetrabile, dovuto anche alle spine presenti, e decorative per merito delle sfumature del legno che vanno da un marrone scuro al color ocra.
Alcune curiosità:
Questo stesso composto viene utilizzata anche contro la Candida, micete parassita dell'uomo

Originariamente questa pianta era tipica del nord America, più precisamente in un area degli Stati Uniti centrali (Texas ed Arkansas) abitata dalla tribù, precedentemente citata, degli Osagi. Nel nord America questa pianta viene chiamata anche arancio degli Osagi (Osage orange) , proprio dal nome della tribù indiana che risiedeva nella zona di crescita di questo albero.
La specie è dioica, cioè ha fiori maschili e femminili su piante differenti ed i fiori sono riuniti in infiorescenze. La caratteristica più curiosa della pianta, e che sicuramente fa notare ai passanti la presenza di questo albero nei nostri parchi, è il frutto che è più precisamente una infruttescenza (sorosio) formata da un insieme di acheni ognuno derivante da un diverso ovario.

- Nell'ultima guerra mondiale la corteccia della Maclura pomifera è stata utilizzata per produrre il colore “Kaki” delle divise americane
- Il pigmento “morina” che si ricava da questa pianta, veniva utilizzato dagli Osagi per tingersi il volto.
- In un articolo pubblicato nel 2003 sulla rivista della Botanical Society of America, si discute della tossicità delle foglie nei confronti degli erbivori
- Alcuni studi affermano che la linfa di questa pianta possa provocare dermatiti nell’essere umano.
- In M. pomifera è stato individuato il Resveratrolo (3,5,4'-triidrossi-trans-stilbene), un alcaloide fungicida che spiegherebbe l’eccezionale resistenza del legno della Maclura alla degradazione fungina.
- In Kansas la pianta di Maclura viene detta anche “siepe”
- Ebbe grande diffusione negli Stati Uniti (prima in Illinois) perché veniva utilizzato per recintare i terreni agricoli in modo efficiente e poco costoso.
- Il legno della Maclura è fra i più pesanti d’America: un metro cubo allo stato naturale pesa più della metà di un metro cubo di calcare, ed è quasi altrettanto duro perché smussa rapidamente le punte da tornio e le lame da sega; inoltre, pur essendo prodigiosamente flessibile, è due volte e mezzo più resistente del legno di quercia: un arco di arancio Osage, fatto con una pianticella ben stagionata e flesso con un tendine di bufalo, può scagliare una freccia di corniolo con tanta forza da farla penetrare in un bisonte fino alle penne, e tutt’oggi alcuni arcieri considerano il suo legno superiore al celeberrimo tasso usato per gli archi inglesi. Nel 1811 John Bradbury, incoraggiato da Jefferson, fece un viaggio di esplorazione lungo il Missouri River e disse che il prezzo di un arco di Maclura era elevatissimo poiché ammontava ad un arco e ad una coperta.
- Il legno di Maclura veniva utilizzato dai coloni per produrre gli assali dei carri, i mozzi delle ruote, le pulegge, i manici degli attrezzi, i pali del telegrafo, gli isolatori, i manganelli e le traversine ferroviarie.
Per saperne di più:
http://www.racehorseherbal.com/Wild_Herbs/Osage_Orange/osage_orange.html
http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=11542
http://luirig.altervista.org/flora/taxa/index1.php?scientific-name=maclura+pomifera
http://giardinaggioirregolare.com/2010/04/20/nel-reticolo-maclura-pomifera/
http://plants.usda.gov/core/profile?symbol=MAPO
http://it.wikipedia.org/wiki/Maclura_pomifera














Riconoscere le vipere

 

Allego una immagine informativa, trovata su facebook, che spiega come riconoscere le vipere dagli altri ofidi.

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Consiglio anche di visitare una pagina facebook ben fatta e sempre aggiornata. La trovate qui

lunedì 7 ottobre 2013

Bioluminescenza

 

È un fenomeno che consiste nell’immissione luminosa da parte di organismi viventi attraverso particolari reazioni chimiche che convertono l’energia chimica in energia luminosa.
La bioluminescenza è stata trovata in organismi quali molluschi, anellidi ctenofori, pesci, dinoflagellati, insetti e funghi.

Gli organismi marini, hanno organi appositi per la produzione di luminescenza che prendono il nome di fotofori. Questi si trovano nei pesci, nei cefalopodi e negli cnidari.

Gli scopi della bioluminescenza possono essere molteplici: A scopo difensivo, difesa, comunicazione, attacco, illuminazione…

La bioluminescenza può avvenire in 2 modi:
1) Bioluminescenza propria dell’organismo; dovuta a processi biochimici che avvengono nel organismo.(Es: lucciole,
2
) Simbiosi con batteri bioluminescenti che utilizzano delle reazioni redox per produrre luminescenza.

Meccanismo della bioluminescenza

La bioluminescenza si basa su un meccanismo per cui alcune molecole, prodotte in uno stato elettronico eccitato, emettono parte di energia sotto forma di radiazione luminosa tornando allo stato fondamentale di quiete.

Diversi studi biochimici e biomolecolari hanno dimostrato che i meccanismi di emissione di luce da parte di organismi viventi sono molto vari e quindi, con buona probabilità, tale proprietà si è sviluppata in maniera indipendente nei vari gruppi biologici.

È stato inoltre accertato che in molti organismi viventi, tra i quali la lucciola, la bioluminescenza implica l'azione di almeno due composti chimici: un substrato organico che emette la luce, chiamato "luciferina", e un enzima catalizzatore chiamato "luciferasi".
Nella maggior parte dei casi il fenomeno è appunto dovuto alla luciferina, che in presenza di ATP (adenosintrifosfato), magnesio e dell'enzima luciferasi, cede elettroni, i quali, passando ad un livello minore di energia, liberano energia sotto forma di luce.

Nei batteri (Es: Photobacterium) la bioluminescenza è associata al consumo di ossigeno (O2) e quindi avviene solo in condizioni di aerobiosi e di alte concentrazioni di questi organismi nell’ambiente.

In alcuni organismi la bioluminescenza è fatta da batteri in simbiosi mutualistica con l’organismo ospite a punto che i processi biochimici della luminescenza sono strettamente collegati ed inseparabili dall’organismo ospite.
Ad esempio batteri luminescenti vivono in simbiosi con un pesce chiamato Photoblepharon palpebratus(Fig.1) della barriera corallina australiana e si sviluppano all’interno di una piega (palpebra) sotto agli occhi.
La simbiosi fra questi organismi fa sì che il pesce fornisca un substrato protettivo e molto nutriente ai batteri ed i microrganismi offrano la luce necessaria per le diverse comunicazioni dell’animale atte a difendere il proprio territorio e a cacciare.

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          Fig.1: Photoblepharon palpebratus

Un altro esempio di simbiosi fra batteri luminescenti e animali è fornita dall’interazione fra Euprymna scolopes (Fig,2), un cefalopode che di giorno vive sotto la sabbia e di notte vaga in cerca di cibo, e Vibrio fischeri.
Euprymna riesce a mimetizzarsi nell’ambiente notturno grazie alla presenza di un organo luminescente (fotoforo) che emette una luce “lunare” che ne fa scomparire l’ombra. La luce è emessa da popolazioni di Vibrio fischeri, batteri bioluminescenti che vivono all’interno del fotoforo del cefalopode dove trovano un ambiente ricco di nutrimento.


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                                Fig.2: Euprymna scolopes


Bioluminescenza negli insetti

La possibilità di emettere radiazioni luminose si trova in un ristretto numero di specie che hanno principalmente abitudini notturne notturne o che vivono in luoghi oscuri come, ad esempio, caverne o l’interno di alberi.
La luminescenza può originars
i:
-  Perché l'insetto possiede speciali organi fotogeni
- Come effetto collaterale del suo metabolismo
- Perché causata da batteri patogeni e quindi essere sintomo di malattia (es. larve di Mamestra attaccate dal Bacterium haemosphoreum)
- P
erché ospita batteri luminescenti simbiontici.

Le specie luminose si riscontrano prevalentemente tra i coleotteri (elateridi, drilidi, lampiridi, fengoidi), ma anche fra i collemboli, i rincoti omotteri cicadoidei, e le larve dei ditteri.
Nelle larve di alcuni ditteri fungivoridi la luce proviene dal corpo adiposo o dall'estremità ingrossata dei
tubi malpighiani (strutture paragonabile ai reni dei vertebrati), nei coleotteri fengoidi da agglomerati di enociti (ghiandole ).
Nei coleotteri, che hanno differenziato organi luminosi, può essere emessa luce in tutti gli stadi di sviluppo.

La funzione della bioluminescenza, nelle forme più primitive, sembra non avere alcun significato biologico, essendo un effetto collaterale del metabolismo; nelle larve luminose di alcuni ditteri fungivoridi essa probabilmente serve da attrattivo per le prede e nei coleotteri lampiridi, fengoidi ed elateridi è un evidente richiamo sessuale.

                                        Fig.3: Lampyris noctiluca

giovedì 23 maggio 2013

Introduzione alla Farmacognosia e qualche pianta


Definizione di farmacognosia:

Dal greco pharmakon = farmaco=veleno e gnosis = conoscenza, è una branca della farmacologia che si occupa dello studio dell'origine delle droghe di natura animale o vegetale, approfondendo l'aspetto della composizione chimica, del commercio e delle sofisticazioni delle stesse, con particolare attenzione all'azione farmacologica.
H
a quindi il compito di studiare e descrivere, da un punto di vista sia botanico, che chimico, che farmacologico, sostanze naturali (vegetali, minerali,
animali) impiegate come medicamenti o per la preparazione di medicamenti. Tale scienza si occupa quindi del riconoscimento e della descrizione dei farmaci naturali:
riconoscimento: identificazione dei componenti chimici che rendono la droga attiva e caratterizzazione della loro attività
farmacologica e terapeutica
descrizione: identificazione della droga e della pianta che l’ha prodotta, dei principi attivi che la compongono


- Secondo la definizione dell'American Society of Pharmacognosy, il termine farmacognosia si riferisce allo studio delle proprietà fisiche, chimiche, biochimiche e biologiche di farmaci o sostanze medicinali o potenziali farmaci o potenziali sostanze medicinali di origine naturale, nonché alla ricerca di nuovi farmaci da fonti naturali.
La farmacognosia studia inoltre:

1) miglioramenti nella coltivazione delle piante medicinali;
2) nuovi principi identificati nelle droghe;
3) la valutazione dell’attività terapeutica delle droghe;
4) la preparazione di forme farmaceutiche a partire dalle droghe.

Le droghe, in prima istanza, vengono classificate in:

  • Organizzate: comprendenti elementi cellulari e tessuti della pianta d'origine (radici, cortecce, foglie, ecc...)
  • Non organizzate: che non comprendono elementi cellulari della pianta d'origine (resina, latice, ecc...)

I principi attivi in esse contenuti possono derivare da:

  • Metabolismo primario: carboidrati, lipidi, proteine e amminoacidi.
  • Metabolismo secondario: comprende tutti quei composti non essenziali alle funzioni fisiologiche primarie della pianta (derivati del metabolismo primario) ma che svolgono funzioni accessorie importanti (pigmenti non fotosintetici, alcaloidi, tannini, ecc...)


DEFINIZIONE DI DROGA
Nel linguaggio comune/popolare si definisce droga una sostanza naturale o derivata da sintesi, capace di modificare temporaneamente lo stato psichico dell’individuo che è alla ricerca di una condizione di piacere.
Comprende, quindi, sostanze ad attività stupefacente e allucinogena (oppio, hashish, marijuana, cocaina, LSD). Sono considerate droghe anche alcuni alimenti (aglio) e spezie ad uso alimentare (chiodi di garofano, zafferano, cannella).
In Farmacognosia si definisce droga un corpo vegetale ( animale o minerale) oppure una parte di questo che contiene, insieme ad altri component i
inattivi o farmacologicamente poco interessanti, una o più sostanze farmacologicamente attive dette principi attivi della droga.

DEFINIZIONE DI FARMACO

-Prodotto chimico puro dotato di proprietà farmacologiche, capace di provocare una variazione funzionale. Ad esempio: l’oppio è una droga mentre la morfina (il suo principale componente) allo stato puro è un farmaco.

Quindi la droga è una pianta intera o una sua parte che agisce su un organismo vivente tramite il principio attivo che contiene.

Le droghe vegetali che si trovano in commercio possono essere fornite da piante spontanee o da piante coltivate e le piante che forniscono le droghe sono considerate medicinali.
Pianta Medicinale: ogni vegetale che contiene sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici come tali o come precursori di sintesi di composti attivi (secondo l’OMS)
Pianta Officinale: pianta utile in campo farmaceutico, cosmetico, liquoristico, industriale, ecc.
Le droghe possono trovarsi in commercio come tali oppure snaturate (es. decorticate, polverizzate, sotto forma di estratti).

A secondo della loro morfologia si possono distinguere in:
organizzate: presentano una struttura cellulare e quindi sono costituite da tutto il corpo del vegetale o da una parte di esso (es. foglia, seme, radice, fiore…)
non organizzate: sono prive di elementi cellulari e quindi costituite da un prodotto secreto o estratto dai tessuti vegetali
(es. latice, olio essenziale, succo, essudato)

FATTORI CHE INFLUENZANO IL CONTENUTO E LA QUALITA’ DEI PRINCIPI ATTIVI


Le piante medicinali compiono il loro ciclo vitale in relazione con l’habitat in cui si trovano e la presenza di principi attivi può essere influenzata dalle condizioni di vita o di coltivazione della pianta. Pertanto, le piante medicinali possono presentare elevate variazioni nel contenuto in principi attivi.
I fattori che influenzano il contenuto in principi attivi di una droga sono numerosi e possono essere suddivisi in:

Fattori naturali: dipendono dalla pianta che fornisce la droga (genetici o endogeni) o dall’ambiente nel quale la pianta si sviluppa (fattori ecologici o esogeni).
Fattori artificiali: riguardano la raccolta, la preparazione e la conservazione della droga

FATTORI NATURALI: ENDOGENI

In particolare sono l’età e lo stadio di sviluppo della pianta ed è un fattore non genetico. La qualità dei principi attivi può variare in relazione allo stadio vitale,
giovanile, maturo o senescente, della pianta.
La raccolta della pianta medicinale ai fini di una produzione ottimale di droga viene regolata attraverso la valutazione del suo tempo balsamico (periodo in cui è massimo il contenuto in principi attivi).

In generale avremo che la raccolta si effettua:
 piante annuali: a sviluppo completato
 piante biennali: il secondo anno.
 piante rizomatose: in autunno o in inverno
 piante perenni: il contenuto in principi attivi aumenta con l’età.

Selezione: E’ un fattore genetico che determina grandi variazioni quali-quantitative nella composizione dei principi attivi. Ad esempio la selezione ha permesso di elevare la resa della china dal 5 al 15%.
Mutazione: Sono alterazioni della sequenza del genoma che avvengono raramente in natura. Sono, attualmente, un importante campo di sperimentazione nella coltura delle piante medicinali in modo da aumentarne la resa delle droghe nelle piante di interesse farmaceutico.
Poliploidia: Comporta un aumento del numero di cromosomi per un’anomalia della divisione cellulare. Può essere indotta artificialmente con colchicina e le piante poliploidi ottenute sono in genere giganti, più resistenti a condizioni climatiche avverse e con migliori caratteristiche quali-quantitative in relazione al contenuto in principi attivi.
Ibridazione: Consiste nell’incrocio di individui geneticamente diversi per produrre una progenie ibrida, con caratteristiche desiderabili per interesse pratico. L’ibridazione può modificare sia il contenuto totale in principi attivi, sia il rapporto tra i vari principi attivi. Alcuni esempi di coltivazioni ibride altamente produttive sono: lobelia, belladonna, lavandula.

FATTORI NATURALI: ESOGENI
Clima: Disponibilità di luce, la sua intensità e qualità sono un fattore essenziale per la nutrizione delle piante poiché la nutrizione si attua attraverso la fotosintesi. Anche la temperatura influenza il contenuto in principi attivi. Si ha, infatti, una
sofferenza generale della pianta sia a temperature troppo fredde che troppo calde, senza una relazione stretta con particolari principi attivi.
Latitudine e altitudine: La latitudine è importante nella composizione dei lipidi: le piante produttrici di grassi manifestano un maggior contenuto in acidi grassi se coltivate ai tropici e un maggior contenuto in grassi insaturi se coltivate in ambiente subtropicale.
Esempi
-Cacao (pianta tropicale) ha un elevato contenuto in acidi grassi
-Olivo, Arachidi, Sesamo (piante subtropicali) producono grassi insaturi come l’acido oleico
-L’Aconito italiano é velenosissimo, mentre quello dei paesi del nord lo è molto meno o addirittura non è tossico.

Anche l’altitudine è importante.
Esempi:
- il Timo, la Menta sono più ricchi in principi attivi se coltivati in pianura anziché in altura.
- la Valeriana produce principi attivi di migliore qualità in altura.
Costituzione del terreno: Riveste un’elevata importanza nella qualità della pianta medicinale.
La Camomilla si sviluppa in modo soddisfacente solo in terreni acidi
La Digitale è ricca in principi attivi se coltivata in terreni ricchi di Mn++, mentre ne è povera quando cresce in terreni calcarei.
Le piante ad essenza richiedono un terreno sabbioso
La Valeriana è poco attiva se cresce in ambiente paludoso
L’Altea ha un ridotto contenuto in principi attivi se cresce in terreni umidi.
Fattori biotici (allelopatia):
Allelopatia: condizionamento o interazione di un essere vivente alla crescita ed allo sviluppo di un altro essere vivente mediante la secrezione di sostanze organiche (fattori di crescita..).
Le piante vegetano le une accanto alle altre e questo può influenzare la germinazione, lo sviluppo delle foglie e del fiore, la maturazione del frutto. Si può anche avere una reciproca influenza sul contenuto in principi attivi delle piante medicinali: lo stramonio ha un maggior contenuto in alcaloidi se coltivato in presenza di lupino, mentre la presenza della menta la riduce.
La belladonna è favorevolmente influenzata dalla vicinanza di assenzio, l’arnica è incapace di svilupparsi in coltura pura: probabilmente perché incapace di elaborare dei fattori di accrescimento che sono forniti dalle piante vicine.

FATTORI ARTIFICIALI: CONSERVAZIONE
La presenza d’acqua e l’attività enzimatica non permettono di conservare la pianta medicinale per lungo tempo. Si devono quindi attuare metodi atti alla conservazione a lungo termine della droga.
Tali metodi hanno lo scopo di:
- allontanare l’acqua.
- ridurre o di inibire l’attività enzimatica.

Essiccazione: E’ un processo che determina l’allontanamento della maggior parte dell’acqua contenuta nei tessuti vegetali.
Molte delle alterazioni litiche che portano alla distruzione dei principi attivi si basano su processi di idrolisi e quindi, eliminando l’acqua contenuta nella pianta, si arrestano le reazioni enzimatiche. In genere si utilizzano temperature di 30-40°C.
Bisogna inoltre tenere conto della natura chimica dei principi attivi: i costituenti attivi della valeriana hanno gruppi esterei che si degradano facilmente con la temperatura e l’umidità. L’essiccazione può essere effettuata con mezzi artificiali o naturali, a temperatura ambiente o con aria riscaldata, in ambiente aperto o con particolari strumenti quali essiccatoi e stufe.
Liofilizzazione: Consiste nell’essiccamento per sublimazione del solvente congelato e si impiega quando i component chimici sono sensibili al calore (ormoni, vitamine, enzimi, antibiotici).
Stabilizzazione: Causa l’inattivazione irreversibile degli enzimi della droga. Consiste nel fissare a caldo, con vapori di alcol etilico, la composizione chimica dei vegetali freschi prima dell’instaurarsi di fenomeni fermentativi o enzimatici che altererebbero la composizione dei principi attivi. Si effettua con l’impiego di un’autoclave. Dopo la stabilizzazione la droga si essicca in stufa. Utilizzabile
solo se i principi attivi non sono termolabili.
Sterilizzazione: Le droghe, al momento della raccolta, sono piene di microrganismi. Si può quindi effettuare una sterilizzazione in modo da evitare la presenza di microrganismi patogeni e di ridurre il contenuto di enterobatteri.
Conservazione: Le droghe devono essere conservate in luogo fresco, asciutto e al riparo dalla luce. Possono essere impiegati anche dei conservanti ad attività antimicrobica (anidride solforosa, solfiti) o antiossidante (acido ascorbico). Una droga, anche se ben conservata, perde comunque attività nel tempo poiché gli enzimi, anche se in minima parte, continuano a indurre fenomeni di degradazione dei principi attivi. Quindi le droghe secche devono essere rinnovate periodicamente, generalmente ogni anno.

CONTROLLO DI QUALITA’ DELLE DROGHE
Una terapia con rimedi naturali è efficace solo se le singole droghe vegetali sono state accuratamente selezionate, preparate ed utilizzate. Uno dei metodi più semplici d’impiego delle droghe di origine vegetale è l’estrazione tramite acqua (infusi, tisane, decotti) dei principi attivi solubili. Tuttavia, la maggior efficacia la si ottiene grazie agli estratti titolati che garantiscono meglio l’efficacia, la riproducibilità e la costanza dell’effetto farmacologico.
Le droghe possono essere utilizzate sia fresche sia allo stato secco.
La droga fresca viene usata più raramente, ad es: preparazione delle tinture madri, ottenimento degli oli essenziali, poiché la presenza di acqua ostacola molti processi di lavorazione industriale e ne limita la conservazione(a causa dell’attività enzimatica e della possibile proliferazione di microrganismi).
Per l’attività delle droghe e dei loro derivati sono di estrema importanza la raccolta, la preparazione e la conservazione. La raccolta delle droghe utilizzate devono avvenire in tempi il più possibile recenti e devono essere di qualità scelta ed in perfetto stato di conservazione.
Le droghe prima della loro utilizzazione devono essere identificate, controllate e opportunamente preparate (pulite, ridotte in pezzi di grandezza adeguata o in polvere più o meno fine).
Fondamentale è l’utilizzo di metodi per il controllo di qualità delle droghe in modo tale da avere sempre prodotti sicuri per le successive preparazioni e per evitare problemi per l’utilizzatore.
Il controllo di qualità comprende vari esami atti a determinare l’identità e la qualità del prodotto. Per quanto riguarda le droghe vegetali sono previsti:

Controllo morfologico: consente di identificare la droga ed evidenziare eventuali sofisticazioni tramite l’osservazione dei caratteri macroscopici e microscopici. Si effettua un esame dei caratteri morfologici quali aspetto, forma e colore e un esame dei caratteri organolettici quali odore (piante ad essenza o con odore caratteristico) e sapore (amaro: china, genziana; dolce: liquirizia; astringente: contenenti tannini; acre e irritante: contenenti saponine).L’esame microscopico è essenziale per le droghe triturate in cui è difficile l’identificazione per esame macroscopico. Per meglio evidenziare specifiche strutture possono essere effettuate delle semplici reazioni:
- i granuli di amido si colorano di blu per aggiunta di una soluzione di iodio
- la cellulosa si colora in violetto con una soluzione iodurata di cloruro di zinco

Controllo chimico: consente di accertare se la droga risponde alle specifiche richieste per la sua identificazione, purezza e titolo prescritto in principi attivi. Prevede:
- Determinazione dell’umidità cioè della quantità di acqua residua dopo l’essiccamento. E’ un indice di buona conservazione poiché l’acqua può favorire le reazioni enzimatiche che portano all’inattivazione dei principi attivi o favorire la proliferazione di microrganismi
- Determinazione della viscosità: è importante per le droghe non organizzate quali gomme e mucillagini.
- Analisi dei principi attivi: viene effettuata essenzialmente attraverso metodi analitici strumentali, soprattutto tramite tecniche cromatografiche e spettrofotometriche.

Il requisito fondamentale per la sicurezza qualitativa della droga è che essa non venga sofisticata, adulterata o deteriorata sia in maniera fraudolenta sia perché effettuata da personale inesperto. Esistono numerosi esempi di sofisticazione:

-La sostituzione di Mentha piperita con la specie Mentha crispa, molto più economica.
-Preparazioni di ginseng sono state sofisticate con Rauwolfia serpentina e Mandragora officinarum (Solanaceae) con conseguente avvelenamento da reserpina o da alcaloidi delle Solanaceae.
- Semi della velenosa cicuta sono stati occasionalmente trovati tra i semi di anice destinati all’industria dell’aromatizzazione farmaceutica.
- Rizomi di Veratrum album, pianta velenosa, sono a volte spacciati per radici di genziana.
- I frutti di anice stellato (Illicium verum) sono stati sofisticati con quelli di I. anisatum, più pericolosi dei precedenti per la presenza di sesquiterpeni tossici.


OTTENIMENTO DEI PRINCIPI ATTIVI

PREPARAZIONE DELLE DROGHE

Ottenere principi attivi il più possibile puri, e quindi di farmaci estrattivi di qualità è molto importante; i metodi di preparazione sono vari e cambiano in base alla tipologia di droga ed alla lavorazione che questa deve subire successivamente.
Infatti le forme farmaceutiche in cui si vendono i prodotti fitoterapici sono numerose e possono essere suddivise in 2 grandi categorie:
solide: polveri, capsule, compresse
liquide: soluzioni estrattive (tisane, infusi, decotti, estratti, tinture ecc..)

Mentre i metodi usati possono essere suddivisi in meccanici ed estrattivi

METODI MECCANICI: droga essiccata
OTTENIMENTO DI POLVERI: rappresentano la forma farmaceutica più semplice nella quale viene somministrata una droga. Si ottengono generalmente per polverizzazione della droga essiccata, ma in base alla consistenza, fragilità o fibrosità della droga, si impiegano metodi diversi per otennerla:
-Frantumazione: si impiega soprattutto per materiali duri e consistenti, fortemente lignificati o disidratati come legni, radici, rizomi, cortecce, semi.
La frantumazione di piccole quantità si effettua con l’utilizzo di un mortaio, mentre per elevate quantità si impiegano trinciatrici, macine a coltelli rotanti, frantumatoi a cilindri o a lame, grattugie rotanti.
- Criofrantumazione: frantumazione a freddo (-70°C con azoto liquido) per evitare i danni del calore prodotto dall’attrito durante la frammentazione
- Triturazione: si impiega per droghe non particolarmente dure e consistenti quali droghe erbacee, foglie, fiori, gemme, bulbi. Può essere fatta con omogeneizzatori a coltelli rotanti e vari tipi di taglierine.
-Polverizzazione: consiste nel ridurre in polvere di estrema finezza le droghe frammentate o triturate e si effettua con vari tipi di mortai o di molini.
Le polveri ottenute devono poi essere setacciate per ottenere materiale omogeneo che sarà classificato in base alla dimensione delle particelle che lo compongono (polvere grossolana, moderatamente fine, fine, molto fine).


METODI MECCANICI: droga fresca
Spremitura: è un’operazione di estrazione che si effettua sulla droga fresca: la droga viene sottoposta a pressione in modo da far lacerare il tessuto e farne uscire il contenuto. E’ usata per ottenere succhi vegetali, oli essenziali, oli vegetali (olio di oliva,di ricino ecc.).
Centrifugazione: si effettua adoperando piccoli torchi o apposite centrifughe e si ottengono succhi vegetali e oli essenziali.

METODI ESTRATTIVI:

Si definisce estrazione un metodo di separazione in cui il materiale solido o liquido viene messo a contatto con un solvente liquido per trasferire uno o più componenti nel solvente.

Per compiere un’adeguata estrazione dei principi attivi dalle droghe è necessario conoscerne la composizione.

Nelle droghe troviamo:
PRINCIPI ATTIVI: spesso ne esistono molti contemporaneamente con strutture chimiche più o meno simili e, talvolta, dotati di attività farmacologica diversa.
SOSTANZE NON ATTIVE SECONDARIE: componenti privi di attività farmacologica, ma in grado di influenzare l’attività dei principi attivi (alcune saponine facilitano l’assorbimento dei principi attivi, mentre alcuni tannini lo ritardano).
SOSTANZE NON ATTIVE INDIFFERENTI: componenti della cellula vegetale inattivi farmacologicamente (zuccheri, proteine, sali ecc.)
SOSTANZE NON ATTIVE INDESIDERATE: componenti della cellula vegetale che possono alterare la preparazione (i grassi ostacolano l’estrazione) o la conservazione della droga (enzimi di degradazione).
COSTITUENTI IL TESSUTO VEGETALE DI SOSTEGNO: cellulosa, lignina, pectina ecc. che non esercitano alcun effetto.


TECNICHE DI ESTRAZIONE A FREDDO:
Macerazione:
estrazione effettuata ponendo la droga, precedentemente sminuzzata, frantumata o polverizzata, nell’opportuno solvente (alcol, etere, aceto ecc.) a temperatura ambiente per un tempo opportuno (circa una settimana). Il liquido viene successivamente separato dal solvente di macerazione.
Percolazione: consiste nel far defluire il solvente attraverso uno strato uniforme di droga polverizzata e umidificata e preventivamente sottoposta a macerazione all’interno del percolatore (24-48 h). Si utilizza per droghe costose, per l’estrazione di principi attivi particolarmente ricercati, per droghe poco voluminose. Non si può utilizzare per droghe che tengono a rigonfiarsi (es. contenenti pectine o mucillagini) e droghe povere di fibre.

TECNICHE DI ESTRAZIONE A CALDO:
Infusione: si ottiene un infuso: si versa sulla droga opportunamente polverizzata acqua alla temperatura di ebollizione
lasciando poi a contatto con l’acqua fino a raffreddamento. Si impiegano le parti tenere e delicate delle piante
(foglie, fiori, ramoscelli).
Decozione: si ottiene un decotto: si tratta la droga con acqua che viene portata ad ebollizione e mantenuta per un tempo variabile dai 5 ai 30 min. Non si applica mai a droghe contenenti principi attivi volatili, ma si applica a droghe
compatte, poco permeabili (legno, corteccia, radici, semi).
Digestione: si distingue dalla macerazione per la temperatura a cui viene condotta: la digestione è una macerazione condotta a
40-60°C. Si applica alle sostanze poco solubili a freddo e alterabili oltre i 65°C.
Distillazione: consiste nel sottoporre un liquido ad ebollizione per raccogliere in un altro recipiente i liquidi resi volatili con il riscaldamento. Si può utilizzare una distillazione frazionata, effettuata cioè a temperature diverse, per raccogliere
in frazioni separate componenti della droga che hanno punti di ebollizione diversi.
Enfleurage: è utilizzato principalmente in profumeria. E’ un processo di assorbimento delle essenze volatili di fiori e droghe delicate in grassi fissi solidi. Il grasso contenente l’essenza viene poi trattato con opportuni solventi per separare l’essenza pura.


DEFINIZIONE DELLE PIÙ COMUNI SOLUZIONI ESTRATTIVE:
INFUSI: “preparazioni liquide ottenute estemporaneamente versando sulle droghe, ridotte ad un grado conveniente di suddivisione, dalle quali si vogliono estrarre i principi attivi, acqua alla temperatura di ebollizione e lasciando
poi a contatto con l’acqua stessa per un tempo più o meno lungo”.
DECOTTI: “preparazioni liquide ottenute estemporaneamente facendo bollire in acqua le droghe opportunamente polverizzate dalle quali si vogliono estrarre i principi attivi. Non si applica mai a droghe contenenti principi attivi volatili”
TISANE: “preparazioni acquose ottenute estemporaneamente da una o più droghe destinate ad essere somministrate per via orale come tali o come veicoli di altri medicamenti. Possono essere edulcorate e vanno, di preferenza,
consumate al momento”. Possono essere preparate per macerazione, digestione, infusione, decozione.
ESTRATTI: “preparazioni concentrate, liquide, solide o di consistenza intermedia, ottenute generalmente da materie prime vegetali o animali disseccate. Gli estratti si preparano per macerazione, per percolazione o per mezzo di altri adatti e convalidati procedimenti utilizzando etanolo o altro solvente idoneo. La macerazione e la percolazione sono poi seguite dalla concentrazione dei liquidi fino alla consistenza desiderata”
ESTRATTI FLUIDI: “preparazioni liquide nelle quali una parte in massa o in volume è equivalente ad una parte in massa di materiale originario disseccato”
ESTRATTI MOLLI: “preparazioni di consistenza intermedia tra gli estratti fluidi e gli estratti secchi. Si ottengono per evaporazione parziale del solvente utilizzato per la loro preparazione”
ESTRATTI SECCHI: “preparazioni solide, ottenute per evaporazione del solvente usato per la loro preparazione”
TINTURE: “preparazioni liquide ottenute generalmente da materie prime vegetali o animali disseccate. Si preparano per macerazione, per percolazione o per mezzo di altri procedimenti convalidati, utilizzando alcol in appropriata concentrazione”
TINTURE MADRI: “preparazioni liquide ottenute per macerazione della pianta fresca in alcol etilico”
MACERATI GLICERICI (gemmoderivati): “preparazioni liquide ottenute da materie prime di origine vegetale o animale utilizzando glicerolo o una miscela di glicerolo.

QUALCHE PIANTA E LE SUE DROGHE:

APPARATO DIGERENTE: EMETICI ED ANTIEMETICI

IPECACUANA ( o IPECACUANHA)

Nome: Psychotria ipecacuanha (fam. Rubiaceae)
Chiamata anche:
Callicocca ipecacuanha, Carapichea ipecacuanha, Cephaelis ipecacuanha, Uragoga ipecacuanha, Evea ipecacuanha

Significato del nome: Cephalis: insieme di due parole greche che significano testa + somiglianza (similitudine delle infiorescenze con i capolini)
Acuminata: per gli apici acuminati delle foglie, Ipecaaguen: dal portoghese significa pianta capace di indurre nausea e vomito


HABITAT: Cephalis acuminata  in Columbia, Nicaragua e Panama.
Cephalis ipecuanha cresce in Brasile (foresta umida del
Mato Grosso), Malesia, Burma, India.

BOTANICA: Arbusti perenni alti 20-40 cm con foglie opposte ovali lanceolate lunghe 5-10 cm, con corto picciolo e margini
ondulati; Fiori: piccoli, bianchi e riuniti in cime compatte che assomigliano a capolini; Frutti: drupe ovoidali rosso-violaceo.
La pianta possiede un rizoma da cui si dipartono numerose radici che presentano delle caratteristiche anellature dovute ad un irregolare sviluppo della corteccia.
                           Psychotria_ipecacuanha_-_Köhler–s_Medizinal-Pflanzen-251

DROGA:
Radici e rizoma.

Le droghe sono commercialmente note rispettivamente con il nome di:
Ipecacuana di Costa Rica (o Cartagena o di Colombia)
Ipecacuana del Mato grosso (o di Rio o Brasiliana)

STORIA: Gli indigeni sudamericani usavano la droga come repellente contro gli insetti e come amebicida; Tristan (monaco portoghese 1570-1600) ne cita le proprietà espettoranti, Gras (medico francese: 1670-1690) la introdusse in Europa.

RACCOLTA E PREPARAZIONE DELLA DROGA: La droga è raccolta tutto l’anno ma in particolare tra gennaio e marzo (stagione delle piogge) quando il terreno, reso soffice dalla pioggia, consente di estrarre le radici lasciando il rizoma in situ. Sono preferite piante di 3-4 anni di età. Il raccoglitore usando un bastone appuntito sradica la pianta e dopo aver rimosso le radici la ripone nel
terreno dove normalmente vive per produrre nuove radici. Queste sono: mondate, private delle radichette, lavate, essiccate al sole per alcuni giorni ed infine ridotte in pezzi pronte per l’imballo.
DESCRIZIONE DELLA DROGA: La droga è costituita da pezzi contorti lunghi circa 10-15 cm di colore bruno chiaro o bruno nerastro a seconda del suolo
 Le radici sono contorte ed inanellate; il legno è piccolo e la corteccia spessa
 I solchi tra gli anelli possono presentare spaccature che raggiungono il legno
 Ha scarso odore ma la polvere è irritante
PRINCIPALI COMPONENTI
EMETINA (60-75% degli alcaloidi totali nella radice della specie brasiliana mentre solo il 30-40% nell’altra specie)
CEFELINA
PSICOTRINA e PSICOTRINA METIL ESTERE
EMATAMINA
IPECOSIDE (glucoside isochinolinico)
IPECACUANINA (tannino glucosidico cristallino)
AMIDO e OSSALATO DI CALCIO
Nell’ipecacuana di Costa Rica il contenuto totale di alcaloidi è 2 – 2.5% ed il rapporto tra emetina e cefelina 1:2.
TEST PER L’EMETINA:  Miscelare 0.5 g della droga in polvere con 20 ml di HCl e 5 ml di acqua, Filtrare, Aggiungere 0.01 g di KCl a 2 ml di filtrato. In presenza di emetina apparirà un colore giallo che lasciato riposare per 1 ora cambierà gradualmente al rosso.

PROPRIETA’ ED USI TERAPEUTICI DI EMETINA:
-EMETICA indotta per stimolazione di CTZ
-ESPETTORANTE
-ANTIAMEBICA
-BLOCCANTE DELLA SINTESI PROTEICA
-AZIONI EMETICA: Rispetto ai singoli alcaloidi purificati l’azione emetica dell’ipecacuana è molto più lenta per la contemporanea presenza nella droga di tannini ed antrachinoni che riducono l’assorbimento intestinale degli alcaloidi.
La Cefalina è meno efficace dell’emetina.
SCIROPPO DI IPECACUANA usato nei Centri antiveleno la dose nell’adulto 30 ml. E’ costitiuto da:
• 14 ml di estratto fluido di ipecacuana
• 20 ml di glicerina
• sciroppo semplice q.b. a 500 ml
AZIONE ESPETTORANTE: L’emetina fluidifica le secrezioni bronchiali (dose 0.5 –2 mg). L’infuso di ipecacuana può essere
usato come espettorante sotto forma di tintura all’1%
AZIONE AMEBICIDA: L’uso degli alcaloidi nel trattamento della dissenteria amebica (malattia tropicale causata dal
Entoamoeba histolitica) è stato sostituito da prodotti di sintesi. L’emetina veniva utilizzata alla dose di 1 mg/kg x die i.m. per
non più di 5 giorni consecutivi
PROPRIETA’ CITOTOSSICHE: Blocco della sintesi proteica per legame irreversibile con la proteina ribosomiale S14.
Recentemente è stato trovato che la PSICOTROPINA blocca la transcriptasi inversa del virus HIV.
TOSSICITA’: L’accumulo di emetina per ingestione di alte dosi può causare: miopatie, cardiomiopatie anche letali con alterazioni dell’ECG quali: inversioni dell’onda T e allungamento del periodo Q-T. L’emetina è una sostanza mutagena.



SENAPE BIANCA

Nome:
Sinapis alba (Fam. Cruciferae/Brassicaceae)
Sinonimo: brassica alba
Brassica deriva dal celtico bresic e significa cavolo; Alba dal latino e significa bianca.
HABITAT Analogo a quello della senape nera. Originaria dell’Europa e dell’Asia sud occidentale. In Europa, Asia e Stati Uniti è comune sia come pianta spontanea che coltivata.
BOTANICA: Pianta erbacea di dimensioni più ridotte rispetto alla B. nigra, Foglie: lanceolate pennate, Fiori: di colore giallo,
Frutti: siliqua eretta più arrotondata e meno appressata all’asse di quella della B. nigra

             Sinapis_alba_-_Köhler–s_Medizinal-Pflanzen-265

PARTI USATE: semi essiccati
RACCOLTA E PREPARAZIONE DELLA DROGA: I frutti maturi raccolti si fanno seccare e da questi si estraggono i semi che a loro volta si seccano.
DESCRIZIONE DELLA DROGA: I semi sono leggermente più grandi di quelli della senape nera (2 mm di diametro) ed hanno un tegumento bianco-giallastro.
COMPONENTI PRINCIPALI
-  SINALBINA,
tioglucoside della senape bianca. La sinalbina sotto l’azione della mirosina si scinde in:
            - glucosio
            - bisolfato di sinapina
            - p-idrossibenzilsotiocianato sapore pungente ma inodore

PROPRIETA’ ED USI TERAPEUTICI
-
Uso locale: rubefacente (revulsivo)
- Uso interno: emetico e stimolante sulle secrezioni gastriche
STORIA: Anticamente era utilizzata per allestire cataplasmi denominati senapismi che se applicati troppo a lungo possono produrre lesioni cutanee. I cataplasmi sono utili nel caso di catarri delle vie aeree, di affezioni articolari e di reumatismi.
Diffusamente utilizzata come condimento ed aroma alimentare per la preparazione di mostarde.
TOSSICITA’ Il contatto troppo prolungato con la cute produce irritazioni ed ustioni.

SENAPE NERA
La droga è costituita dai semi di Brassica nigra (Sinapis nigra L.) o di B. Juncea (Fam. Cruciferae) Brassica deriva dal celtico
bresic e significa cavolo, Nigra dal latino significa nera Juncea dal latino significa giunco.

HABITAT: Originaria dell’Europa e dell’Asia sud occidentale. In Europa, Asia e U.S.A. è comune sia come pianta spontanea che coltivata.
BOTANICA: Pianta erbacea annuale con steli esili, scanalati, fortemente ramificati ed eretti (50-120 cm) con rami alterni.
Foglie: picciolate, lobate, di colore verde-glauco con margine dentato, Fiori: di colore giallo 4 petali e 4 sepali disposti a croce, inseriti nella parte alta del fusto e riuniti in grappoli.
Frutti: siliqua tetragonale eretta, lunga 2-3 cm, serrata al fusto e contenente numerosi semi (12-14).

                  Brassica_nigra_-_Köhler–s_Medizinal-Pflanzen-170
PARTI USATE: semi essiccati
STORIA: Diocleziano (301 d.C.) la menziona come condimento, uso protrattosi fino ad oggi senza mai subire flessioni nel corso dei secoli, Teofrasto nella sua “Storia delle Piante” e Plinio la citano come medicamento.
RACCOLTA E PREPARAZIONE DELLA DROGA I semi vengono raccolti in settembre quando la pianta ingiallisce ed il frutto è maturo. I semi neri vengono seccati e triturati per preparare la farina e la mostarda (pasta col vino).
DESCRIZIONE DELLA DROGA: I semi sono molto piccoli (1 – 1.5 mm di diametro), globosi, reticolati da finissime nervature, violacei quasi neri; l’epidermide è costituita da uno strato di cellule mucillaginose, l’embrione oleoso. Bagnati si rigonfiano e se triturati con acqua formano un emulsione giallastra di odore piccante e sapore acre e bruciante.
COMPONENTI PRINCIPALI
SINIGRINA (0.7 – 1.4%)
MIROSINA
MUCILLAGINE (20%)
LIPIDI (fino al 30%) rappresentati da esteri del glicerolo con acido erucico, oleico e linoleico.
La sinigrina sotto l’azione della mirosina si scinde in:
 glucosio
 solfato acido di potassio
 isosolfocianato di allile o essenza di senape nera (oleum sinapis) alla quale si deve l’azione della droga.
Perché si abbia l’idrolisi è necessaria la frantumazione dei semi.
L’idrolisi della sinigrina non avviene: nei semi interi poiché sinigrina e mirosina sono localizzate in elementi cellulari diversi; nei semi frantumati a T > di 60° per inattivazione dell’enzima

PROPRIETA’ ED USI TERAPEUTICI
Uso locale: rubefacente
Uso interno: emetico
La farina di senape anticamente è stata utilizzata per allestire “senapismi” in cataplasmi, bendaggi, bagni, cerotti, sfruttando l’azione revulsiva e rubefacente dell’isotiocianato di allile per il trattamento di reumatismi, nevralgie, mialgie e stati
infiammatori. L’azione irritante della droga è attenuata dalle proprietà emollienti della mucillagine. I senapismi se applicati troppo a lungo possono produrre lesioni cutenee. Attualmente in presenza di valide terapie antiinfiammatorie l’uso dei senapismi è praticamente abbandonato. I semi interi svolgono un’azione emolliente per la presenza di mucillagini, utili in caso di bronchiti. L’isotiocianato di allile ha debole attività antimicrobica. Un decotto dell’intera pianta ha proprietà tonicostimolanti ed a dosi maggiori effetto purgante.
TOSSICITA’: L’applicazione sulla pelle determina un iniziale arrossamento seguito da processo infiammatorio. Il contatto troppo prolungato con la cute può produrre irritazioni ed ustioni, in pratica vescicolazioni ed ulcerazioni. Questi effetti sono dovuti alla rapida penetrazione dell’isotiocianato attraverso gli strati cutanei. L’isotiocianato può indurre stati di ipotiroidismo per inibizione della sintesi di tiroxina. Sono stati descritti casi di ipersensibilizzazione dovuti alle proteine della senape che vanno da reazioni cutanee fino allo shock anafilattico.

 

CARDO MARIANO

NOME: Silybum marianum (Fam. Asteraceae)

HABITAT: Europa (bacino del Mediterraneo). In Italia è frequente lungo i bordi delle strade e tra i ruderi dal mare al piano submontano.
STORIA: Incluso da Dioscoride nel suo libro “De materia medica” tra le piante medicinali.
BOTANICA:
Pianta: erbacea, biennale, ragnatelosa sul caule. Può superare 1 m di altezza Fusto: eretto, robusto, cilindrico,pubescente,porta alla sommità un capolino con brattee spinose e fiori tubulosi, Foglie: grandi, larghe e lucenti specie quelle
della rosetta basale, con spine gialle, chiazzate di bianco lungo le nervature ed a margini dentati, disposte alterne sul fusto,
Fiori: grandi (anche 8 cm di diametro), color porpora, Frutto:achenio pendulo,oblungo, nero e rugoso

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DROGA: Achenio privo di pappo
Titolo: la droga secca non deve contenere meno dell’1% di silimarina calcolata come silibina. Per essiccamento la droga non deve perdere più dell’8%.
RACCOLTA E PREPARAZIONE DELLA DROGA Il frutto si raccoglie in estate avanzata, quando è completamente maturo. Si sottopone quindi a battitura per separare gli acheni che vengono successivamente privati del pappo. Per essiccare la droga sono preferiti luoghi caldi e ventilati.
DESCRIZIONE DELLA DROGA Il frutto, di colore nero-brunastro lucente o bruno-giallastro opaco è glabro e compresso (lungo 6-7 mm, largo 2.5-3 mm spessore 1.5 mm), ha tegumento nero bruno con macchie più chiare. Racchiude l’embrione e due cotiledoni appiattiti contenenti granuli di aleurone. All’apice porta un residuo della corolla in forma di una scaglia cilindrica
giallo-chiara. E’ inodore e di sapore amaro.

PRINCIPALI COMPONENTI
SILIMARIMA = MISCELA DI FLAVONOLIGNANI (silibina, isosilibilina, diidrossisibilina, silidianina e silicristina)
 TANNINI
 UNA SOSTANZA AMARA
 TIRAMINA
 OLIO GRASSO

PROPRIETA’ ED USI TERAPEUTICI
La silibilina esercita l’azione di:
PROTEZIONE DELLE CELLULE DEL FEGATO impedendo alle sostanze tossiche di entrare nella cellula epatica. A parte un’azione stabilizzante sulla membrana cellulare, la silibilina stimola la sintesi proteica accelerando i processi rigenerativi e la produzione di epatociti. Ha anche spiccate proprietà antiossidanti.
SUPPORTO NELL’INSUFFICIENZA EPATICA sia essa derivata da epatite microbica o metabolica, cirrosi, da avvelenamento da Amanita phalloides o da danni dovuti ad alcool, stress ossidativo o CCl4.
 RIDUZIONE DEI TASSI COLESTEROLEMICI
 INIBIZIONE SU ALCUNI PROMOTORI TUMORALI
 INIBIZIONE DELLA SINTESI DI EICOSANOIDI
DOSAGGI: Si usa in forma di capsule contenenti 200 mg di estratto secco concentrato corrispondente a 140 mg di silimarina. La dose pro die è di 12-15 g equivalente a 200-400 mg di silimarina. La silimarina è poco solubile in acqua (meno del 10%) ed è poco assorbita dall’intestino (solo il 25-50%). Per questo è molto dubbia l’efficacia come infuso.
EFFETTI INDESIDERATI: Non sono presenti in letteratura dati clinici riguardanti particolari proprietà tossiche a parte il fatto che la droga può provocare un lieve effetto lassativo. E’ controindicata in caso di occlusione delle vie biliari.

ASSENZIO
L’assenzio è dato dalle foglie e dalle sommità fiorite di Artemisia absintium L. (Fam. Asteraceae), pianta diffusa in Europa, Asia occidentale e centrale, Siberia, nord Africa. In Italia è comune nei luoghi asciutti, specialmente nella zona montana. La pianta ha odore forte e sapore amaro. L’assenzio è utilizzato per la preparazione di una bevanda molto alcolica il cui uso prolungato può
provocare seri disturbi al SNC. Tuttavia produce un certo grado di ebbrezza che rende difficile interromperne l’uso. Molti personaggi famosi, tra cui Verlaine ed Edgar Allan Poe, sono rimasti intossicati da questa bevanda.
DESCRIZIONE DELLA PIANTA. La pianta si presenta come un’erba perenne alta da 40 a 100-120 cm, fornita di rizoma ramificato da
cui originano getti sterili riccamente fogliati e cauli fioriferi eretti, angolosi e ramificati; le foglie sono alterne, bipennatosette, di colore bianco-verdastro superiormente, bianco grigiastro inferiormente. Tutta la pianta è ricoperta da peli di rivestimento con forma caratteristica a T e che le conferiscono il particolare colore. I fiori, di colore giallo, sono tubulosi e riuniti in capolini
globolosi; quelli periferici sono femminili, quelli centrali ermafroditi; il frutto è un achenio molto piccolo.

Artemisia_absinthium_-_Kohler_DESC

DROGA:
foglie e sommità fiorite
PRINCIPALI COMPONENTI: Dall’assenzio si estrae un olio essenziale che contiene principalmente:
 tuione
 tuiolo
 camazulene (conferisce una colorazione blu all’olio essenziale)
Sono presenti inoltre dei lattoni sesquiterpenici, sostanze fortemente amare:
 absintina
Sono presenti anche: artemisina, santonina, glicoprteine
La droga deve contenere non meno di 2 g/kg di olio essenziale ed avere un potere amaricante non inferiore a 250 unità.
PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE I preparati a base di assenzio sono stati usati come:
 digestivi
 coleretici (stimola la secrezione della bile)
 aromatizzanti
 antielmintici
Sono state descritte anche:
 azioni stimolanti sul SNC da parte di varie specie di Artemisia.
 un’azione antibiotica da parte dell’olio essenziale
 un’azione vermicida (santonina)
 un’azione su plasmodi resistenti alle comuni terapie antimalariche (artemisina)
TOSSICITA’: L’olio essenziale contiene tuione il quale, somministrato per via orale, può provocare effetti tossici conosciuti con il nome di absintismo. L’assenzio veniva utilizzato per ottenere dei liquori e questa forma di intossicazione si manifestava nei bevitori di tali liquori.
I sintomi sono: deterioramento fisico e mentale, tremori, convulsioni a dosi inferiori a 30 mg/kg, perdita della conoscenza. Si verificano anche numerosi fenomeni allergici dovuti alle artemisie e di ciò sono responsabili le glicoproteine
contenute nella droga. Alcuni componenti dell’olio essenziale hanno proprietà mutagene e citotossiche.