sabato 31 ottobre 2015
Scienziati osservano vespe evolversi in nuove specie
Alcuni recenti studi pubblicati su National Academy of Sciences sembrano suggerire che la nascita di una nuova specie da una specie esistente di moscerini della frutta avrebbe scatenato un'evoluzione a cascata in 3 specie di vespe che predano questo insetto.
L'articolo, infatti, afferma che l'evolversi di questo tipo di drosofila abbia innescato una reazione catena di un processo evolutivo iniziato circa 160 anni fa.
La cosa più interessante di questo studio, non è tanto la reazione a catena scatenatasi tra due organismi strettamente correlati tra loro (preda-predatore) ma la rapidità con cui è avvenuto questo processo.
Scott Egan, biologo evoluzionista alla Rice University e co-autore della ricerca afferma:
"Tendiamo a pensare che i fenomeni evolutivi avvengano in tempi lunghi, di milioni di anni ma ciò che è avvenuto nel nostro studio è che una nuova specie può nascere anche in breve tempo, in contemporanea o comunque in tempi molto più compatibili con la durata della vita umana."
La speciazione si verifica, generalmente, quando le variazioni biologiche tra gli individui in una specie consentono ad alcuni di loro di vivere in un ambiente diverso da quello in cui è solita vivere la specie stessa.
Se questi riescono a prosperare nel nuovo ambiente, si avrà una divergenza (una "separazione") dalla popolazione originaria fino alla nascita di una nuova specie completamente autosufficiente.
Ma può tale speciazione in un gruppo di organismi innescare anche una speciazione in un altro gruppo?
Quest'ultimo studio è tra i primi a documentare che ciò è possibile anche se in linea teorica questo fatto era ipotizzato, e tacitamente condiviso, da molti.
Per migliaia di anni, la drosofila (moscerino della frutta) del Nord America, Rhagoletis pomonella, si è nutrita con i frutti del biancospino.
Ricercatori si accorsero, in seguito (1850), che il moscerino della frutta aveva compiuto un "salto" e ora si nutriva anche di mele.
Successivamente si scoprì che Rhagoletis si era suddivisa in due specie: popolazioni che vivevano tra alberi di biancospino e quelli tra gli alberi di mele colonizzando così, di fatto, un nuovo ambiente.
Le nuove specie hanno differenti tempistiche di schiusa delle larve e dei cicli vitali, per ottimizzare in un certo senso la riproduzione.
Rhagoletis è predata da tre specie di vespe. Le larve dei moscerini vivono all'interno del frutto e le vespe depongono le uova all'interno delle larve. Le larve dei moscerini si schiudono e in seguito si schiudono anche quelle delle larve di vespa divorando il loro ospite dall'interno.
Ciò che il dottor Egan ed il suo team hanno scoperto è che la speciazione che in origine si è verificata nel moscerino della frutta ha innescato una speciazione nelle vespe loro predatrici.
Nello studio su PNAS viene infatti documentato come le vespe che vivono sopra i biancospini e quelle che vivono sopra gli alberi di mele hanno differenti cicli vitali ed anche un corredo genetico modificato. Sono stati riscontrati anche cambiamenti comportamentali che stanno ad indicare anche cambiamenti di natura fisiologica.
Così, in breve tempo, da 3 tipi di vespe si sono ottenute 3 nuove specie per un totale di 6 che in natura si sarebbero incontrate molto raramente e non avrebbero avuto modo di ibridarsi tra loro a causa dell'avvenuta speciazione.
Non è chiaro se questo processo, noto come "speciazione sequenziale," è una tipologia comune o rara di evoluzione. Eppure, potrebbe aiutare a spiegare uno dei più grandi misteri della biologia: perché c'è una tale straordinaria molteplicità di forme di vita, il perché, ad esempio, ci sono fino a 30 milioni di specie di insetti sul pianeta? Come si è evoluta la diversità?
L'ultimo studio suggerisce che la speciazione sequenziale potrebbe essere stato un collaboratore fondamentale di questo rapido processo di speciazione.
"Il fatto che possiamo vedere speciazione in soli 160 anni è in linea con la diversità sorprendente che osserviamo in natura, che ha avuto milioni di anni per giocare", ha detto il dottor Egan.
Il documento è stato pubblicato su PNAS dai ricercatori della Rice, della Notre Dame, di Michigan State University, della University of Iowa e dell'Università della Florida.
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martedì 21 luglio 2015
I veleni nella storia dell' uomo
Molti veleni sono stai protagonisti indiscussi della storia umana, mettendo fine in modo improvviso e silenzioso a grandi uomini e donne che occupavano posizioni di potere e comandavano imperi e grandi nazioni.
Ma che cosa è un veleno per il mondo scientifico?
Per veleno s'intende una sostanza che, se viene assunta da un organismo vivente, ha su di essa effetti dannosi che possono essere temporanei o permanenti e portare fino alla morte.
I veleni agiscono attraverso meccanismi di natura chimica, per cui non sono considerati come tali le sostanza che hanno effetti dannosi sugli organismi viventi e che agiscono per azione meccanica (Esplosivi) o per emissione di radiazioni (Uranio..)
I veleni possono essere xenobiotici, ovvero prodotti sinteticamente dall'uomo, oppure di origine naturale. I veleni prodotti da organismi viventi sono anche chiamati tossine.
In contrapposizione ai veleni, si chiamano antidoti (oppure contravveleno), quelle sostanze in grado di contrastare l'azione del veleno.
Il concetto di veleno pur se ben definito è tuttavia strettamente dipendente dal concetto di dose. In natura potremmo considerare come veleno qualunque sostanza perché tutte possono provocare danni ad esseri viventi se assunte in quantità molto elevate, perfino l'acqua elemento fondamentale per la vita!
Per questo è stato introdotto il concetto di dose letale 50, che si indica con il simbolo LD50.
Si definisce LD50 la dose in mg di una sostanza in grado di uccidere la metà della popolazione campione, misurata in Kg, di ratti adulti esposta ad essa. Ad esempio LD50 della vipera è uguale a 6; ciò significa che servono 6 mg di veleno per chilo di topo, per uccidere la metà di una popolazione di ratti.
Definite queste basi teoriche ora possiamo addentrarci nella storia dell'umanità, indagando i veleni che hanno contribuito alla fine di grandi imperi e alla morte di personaggi importantissimi.
ARSENICO
Questa sostanza, elemento 33 della tavola periodica degli elementi, è sicuramente tra i veleni più conosciuti.
Isolato chimicamente nel 1640 viene utilizzato sotto forma di veleno nella sua forma denominata "arsenico bianco" (triossido arsenioso), detto anche volgarmente "la polvere degli eredi" per la fama di essere utilizzato per uccidere parenti ed impossessarsi dell'eredità.
La dose tossica per l'uomo è di 10-50 mg mentre la dose letale, per assunzione monodose, è di 60-120 mg.
La morte che ne consegue dall'assunzione di una quantità tale di questa sostanza è lo shock gastroenterico, ciò vuol dire che l'intestino dell'avvelenato si brucia e si consuma fino alla morte in modo lento e molto doloroso.
È considerato il veleno del "delitto perfetto" perché è inodore e insapore.
L'arsenico è notevolmente solubile in acqua e grazie a questa sua proprietà una donna, Giulia Tofana, si arricchì a dismisura producendo in larga scala un veleno a base d'arsenico disciolto in acqua chiamato "l'acqua Tofana"(1640).
Questo veleno veniva acquistato da mogli o mariti che volevano diventare vedove/i in maniera silenziosa e rapida.
In Cina, esistono manoscritti risalenti al 1000 a.C. che contengono molte ricette per produrre armi letali a base di arsenico come ad esempio gas velenosi o irritanti, utili a scopo bellico.
Anche Lucrezia Borgia si narra che avvelenasse le sue vittime utilizzando arsenico che nascondeva in un anello cavo o, secondo altri studiosi, in un ciondolo sempre cavo all'interno e contenente una polvere bianca a base d'arsenico.
CIANURO
Il cianuro è un altro veleno molto utilizzato nella storia dell'umanità. La caratteristica principale delle vittime di questo veleno è quella di emanare un forte odore di mandorla.
Questo veleno blocca il trasporto di ossigeno alle cellule, legandosi al posto dell'ossigeno stesso al ferro contenuto nell'emoglobina. Questo legame soffoca la cellula la qualche non riceve più un elemento fondamentale per il suo corretto funzionamento. Il cianuro provoca perdita di coscienza e la morte avviene spesso per arresto cardiaco.
Il cianuro fu molto utilizzato nella seconda Guerra Mondiale.
Composti derivati dal cianuro sono stati utilizzati nelle camere a gas e, inoltre, il cianuro era in dotazione agli esponenti di punta dell'esercito ma anche dei personaggi politici più in vista del terzo Reich. Lo stesso Hitler lo utilizzò per morire. Ingerì del cianuro e, dopo si suicidò con un colpo di pistola in testa.
Molti altri esponenti del Reich utilizzarono il cianuro piuttosto che essere prigionieri a vita, tra questi Eva Braum e Herman Göring.
Anche il grande matematico e crittografo britannico Alan Turing, condannato per omosessualità alla galera o alla castrazione chimica (scelse quest'ultima), decise di suicidarsi utilizzando del cianuro che iniettò in una mela che poi mangiò come Biancaneve, una delle sue fiabe preferite da bambino.
CICUTA
La cicuta (Conium maculatum) è una pianta perenne a foglia grande e con piccoli fiori bianchi che si trova fino a 1900 metri d'altitudine; cresce in ambiente roccioso e fiorisce a fine giugno-luglio.
È sicuramente il più diffuso e conosciuto veleno dell'antichità, passato alla storia grazie a Socrate il quale morì assumendo una bevanda a base di cicuta.
Anche il condottiero Cartaginese Annibale si uccise ingerendo della cicuta per evitare di essere catturato dai romani.
Questo veleno agiste sulle sinapsi del cervello e provoca cefalee mentre, se viene ingerita una dose letale, provoca paralisi e asfissia in poche ore.
ACONITE (Aconitum napellus)
È conosciuta anche come "l'erba del diavolo" perché è bella quanto velenosa.
Il suo veleno è molto pericoloso perché può essere assorbito anche solamente per contatto, raccogliendo questa pianta e non esiste antidoto.
Nella mitologia Greca si dice che Cerbero, in cane a 3 teste custode degli inferi, avesse nella bava i semi di aconite e quando Eracle lo ha rapito per portarlo sulla Terra (la sua ultima fatica), la rabbia del cane e la sua saliva a contatto col suolo hanno fatto crescere questa pianta.
Secondo uno storico tedesco, inoltre, non sarebbe stato il morso di un'aspide ad uccidere Cleopatra ma un cocktail di droghe a base di aconito
BELLADONNA (Atropa belladonna)
Questa pianta che cresce sui muri e sui vecchi ruderi in estate e velenosa in tutte le sue parti. La parte più tossica sono le bacche, di colore simile alle ciliege e sapore dolciastro che le ha rese complici di avvelenamenti di persone ignare del pericolo.
La belladonna agisce sul cervello e i sintomi sono molto rapidi e la morte avviene per paralisi al massimo in 2 giorni.
In epoca romana e nel Rinascimento è stata utilizzata dalle donne in cosmesi, per dare colorito al viso e per rendere le pupille dilatate e l'occhio più vistoso.
La belladonna provoca allucinazioni e per questo venne usata, soprattutto in Germania, per provocare allucinazioni nei nemici di guerra come metodo di confessione.
Sempre per le sue caratteristiche nel provocare allucinazioni, la belladonna è da sempre utilizzata nel mondo Wicca per dare la sensazione di "volo" e di viaggio a chi l'assume.
RICINA
La ricina è una proteina presente nei semi del ricino (Ricinus communis). È una potente citotossina naturale capace di provocare necrosi cellulari (morte delle cellule) bloccando l'attività di sintesi proteica dei ribosomi.
La dose letale per l'uomo e circa di 0.2 mg ma il valore è dibattuto.
La ricina è salita ad onor di cronica per il suo utilizzo nell'est Europa (Polonia,Russia, Ucraina...) per eliminare personaggi politici scomodi ed in ambito di spionaggio e controspionaggio.
Ne è un esempio la morte del dissidente bulgaro Georgi Markov che fu asssassinato a Londra nel 1979 da un uomo che si avvicinò puntandogli contro un ombrello modificato per sparare una pallottola contenente ricina.BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:
- 5 veleni mortali famosi
- Alcuni cenni (date, nomi...) da: Wikipedia
martedì 5 maggio 2015
Animali buffi: La Saiga tatarica
Oggi si trova in poche aree della Russia (Calmucchia), del Kazakistan e della Mongolia Occidentale a causa del bracconaggio.
Durante l'era glaciale il suo areale era molto più vasto e si estendeva alle isole britanniche, all'Alaska, lo Yukon e anche la penisola Iberica.
Sono erbivori che vivono in branchi numerosi e vivono muovendosi continuamente per le steppe semi-desertiche mangiando moltissimi tipi di piante. Sono animali molto utili perchè si nutrono anche di piante dannose per altri animali e per l'uomo.
Grazie alla loro struttura fisica possono percorrere distanze notevoli ed attraversare corsi d'acqua nuotando. Non si muovono volentieri su terreni montuosi o accidentati sempre a causa della loro struttura fisica, non adatta a questa tipologia d'ambienti.
Durante la stagione degli amori, anche in questa specie sono presenti comportamenti di lotta tra i maschi per ottenere il favore delle femmine. Il vincitore dei combattimenti ha il diritto di radunare mandrie di notevoli dimensioni che variano da 5 fino anche 70-80 individui.
I piccoli nascono in primavera e molto spesso sono parti gemellari.
La Saiga è un animale che misura generalmente 60-80 cm al garrese e pesa dai 36 ai 70 Kg a seconda del sesso e dell'età dell'individuo. I maschi, infatti, sono più grandi delle femmine e sono anche gli unici ad avere corna.
Il corno del Saiga fu causa di bracconaggio, sia perchè ci fu un tempo in cui si proponeva e si favoriva la caccia di questo animale per la presenza di milioni di esemplari nel proprio areale, sia perchè lo si pubblicizzava come alternativa al corno di rinoceronte e si pensava in questo modo di aiutare la sopravvivenza del rinoceronte stesso.
Oltre a ciò, il corno del Saiga è molto importante per la medicina tradizionale cinese per ridurre iperattività, convulsioni ed abbassare la febbre.
La Saiga è facilmente riconoscibile da chiunque per la sua insolita struttura nasale che è grande e flessibile e ricorda una proboscide.
Recenti studi hanno ipotizzato che questa struttura si sia evoluta e mantenuta nella specie attuale perchè risulterebbe funzionale all'ambiente in cui l'animale vive. Si ipotizza, infatti, che questo naso serva per riscaldare l'aria fredda e secca dei lunghi inverni nella steppa Euroasiatica, prima che raggiunga i polmoni; inoltre, si crede che serva per filtrare la polvere d'estate, quando questi animali si muovono in numerosi branchi alla ricerca di erba da brucare.
Ad oggi, la popolazione mondiale di questa antilope sembra in ripresa grazie ad un protocollo di conservazione e all'attenzione che le autorità locali danni a questo animale.
Gli ultimi dati ci danno una popolazione in crescita, soprattutto della sottospecie della Mongolia (Saiga tatarica mongolica).
Ci sono quindi ottime speranze di vederli presto uscire dallo stato "critico" dell'indice di stato conservazione della IUCN.
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giovedì 2 aprile 2015
L'oro di Re Mida
Tutti conosciamo il mito narrato da Ovidio nelle "Metamorfosi" di Re Mida, il quale ottenne in dono la capacità di tramutare ogni cosa in oro con un semplice tocco perchè aveva accudito un vecchio satiro, Sileno, tutore del Dio greco Dioniso.
In realtà sotto a questo celebre mito si celano curiosità chimiche e scientifiche che rendono una spiegazione a questo avvenimento che, come spesso accade, coincide con la storia.
Per molti storici, infatti, la figura di Re Mida, si può identificare con quella di Mita, un re dell'Anatolia occidentale alla fine dell'VIII secolo a.C.
La zona della Frigia è da sempre conosciuta come una terra ricca di giacimenti minerari tra cui miniere di stagno e di grafite.
La metallurgia in queste zone era molto diffusa e ben impiantata nella società del tempo; tra le tecniche metallurgiche più in uso ai tempi, e più all'avanguardia, vi era quella della fusione in bronzo, una lega composta da stagno e rame.
Importanti ritrovamenti archeologici fecero gridare alla grande scoperta quando venne ritrovata la tomba di un certo Mida (si scopri in seguito essere la tomba del padre di Re Mida) in cui si trovarono moltissimi oggetti di ottima fattura ma tutti di bronzo e nessuna traccia del tanto ricercato oro.
Da cosa deriva, allora, l'odierno mito?
Partiamo da una importante informazione; il bronzo è una lega ovvero un composto che si ottiene dalla combinazione di più elementi.
Non è quindi come una molecola d'acqua che è sempre e solo formata da due parti d'idrogeno ed una di ossigeno.
Il bronzo si forma mescolando tra loro stagno e rame ed altri materiali in diversa percentuale ed in base a ciò cambia di molto anche il colore.
Nell'antico territorio della Frigia vi erano moltissimi giacimenti minerari di zinco il quale molto spesso è mescolato allo stagno ed è facile confonderli.
La cosa che più ci interessa è che mescolando zinco e rame non si ottiene il bronzo ma un metallo di colore giallo molto luminoso, L'ottone, il quale può essere confuso con oro ad un occhio inesperto e distratto ma, soprattutto, si presta bene ad essere romanzato come probabilmente è avvenuto grazie ad Ovidio e al suo racconto.
A rafforzare questa tesi ci vengono in aiuto ancora una volta la storia e l'archeologia che infatti confermano, grazie a scritti e ritrovamenti di siti archeologici importanti, la presenza delle più antiche fonderie di ottone conosciute proprio nelle terre in cui un tempo regnava Mida.
Ad ulteriore conferma vi sono anche tentativi moderni da parte di un professore di metallurgia dell'università di Ankara con l'aiuto di storici locali (nel 2007), di ricostruire fedelmente una fornace primitiva dell'epoca di Mida e di caricarla con materiale minerario locale.
Essi fusero il materiale, lo fecero colare e fecero raffreddare il liquido. Il metallo, che si solidificò in lingotti, aveva uno splendido colore dorato; in questo modo avevano ottenuto l'ottone come ai tempi di Re Mida.
Non siamo in grado di sapere esattamente se questa lega simile all'oro fosse conosciuta all'epoca di Mida o se si pensasse realmente che fosse oro. Tuttavia, è molto probabile che il mito del tocco di Re Mida fosse dovuto ad anni ed anni di storie gonfiate al puro scopo di esaltare la qualità degli utensili di ottone, sicuramente più appariscenti di quelli in bronzo molto diffusi nella vicina Grecia.
Molto probabilmente Ovidio non fece altro che romanzare ulteriormente una storia sentita e risentita nelle città greche mitizzando, appunto Mida ed il suo "oro magico" dando così grande gloria all'uomo che poteva tramutare ogni cosa in.... ottone :D
In realtà sotto a questo celebre mito si celano curiosità chimiche e scientifiche che rendono una spiegazione a questo avvenimento che, come spesso accade, coincide con la storia.
Per molti storici, infatti, la figura di Re Mida, si può identificare con quella di Mita, un re dell'Anatolia occidentale alla fine dell'VIII secolo a.C.
La zona della Frigia è da sempre conosciuta come una terra ricca di giacimenti minerari tra cui miniere di stagno e di grafite.
La metallurgia in queste zone era molto diffusa e ben impiantata nella società del tempo; tra le tecniche metallurgiche più in uso ai tempi, e più all'avanguardia, vi era quella della fusione in bronzo, una lega composta da stagno e rame.
Importanti ritrovamenti archeologici fecero gridare alla grande scoperta quando venne ritrovata la tomba di un certo Mida (si scopri in seguito essere la tomba del padre di Re Mida) in cui si trovarono moltissimi oggetti di ottima fattura ma tutti di bronzo e nessuna traccia del tanto ricercato oro.
Da cosa deriva, allora, l'odierno mito?
Partiamo da una importante informazione; il bronzo è una lega ovvero un composto che si ottiene dalla combinazione di più elementi.
Non è quindi come una molecola d'acqua che è sempre e solo formata da due parti d'idrogeno ed una di ossigeno.
Il bronzo si forma mescolando tra loro stagno e rame ed altri materiali in diversa percentuale ed in base a ciò cambia di molto anche il colore.
Nell'antico territorio della Frigia vi erano moltissimi giacimenti minerari di zinco il quale molto spesso è mescolato allo stagno ed è facile confonderli.
La cosa che più ci interessa è che mescolando zinco e rame non si ottiene il bronzo ma un metallo di colore giallo molto luminoso, L'ottone, il quale può essere confuso con oro ad un occhio inesperto e distratto ma, soprattutto, si presta bene ad essere romanzato come probabilmente è avvenuto grazie ad Ovidio e al suo racconto.
A rafforzare questa tesi ci vengono in aiuto ancora una volta la storia e l'archeologia che infatti confermano, grazie a scritti e ritrovamenti di siti archeologici importanti, la presenza delle più antiche fonderie di ottone conosciute proprio nelle terre in cui un tempo regnava Mida.
Ad ulteriore conferma vi sono anche tentativi moderni da parte di un professore di metallurgia dell'università di Ankara con l'aiuto di storici locali (nel 2007), di ricostruire fedelmente una fornace primitiva dell'epoca di Mida e di caricarla con materiale minerario locale.
Essi fusero il materiale, lo fecero colare e fecero raffreddare il liquido. Il metallo, che si solidificò in lingotti, aveva uno splendido colore dorato; in questo modo avevano ottenuto l'ottone come ai tempi di Re Mida.
Non siamo in grado di sapere esattamente se questa lega simile all'oro fosse conosciuta all'epoca di Mida o se si pensasse realmente che fosse oro. Tuttavia, è molto probabile che il mito del tocco di Re Mida fosse dovuto ad anni ed anni di storie gonfiate al puro scopo di esaltare la qualità degli utensili di ottone, sicuramente più appariscenti di quelli in bronzo molto diffusi nella vicina Grecia.
Molto probabilmente Ovidio non fece altro che romanzare ulteriormente una storia sentita e risentita nelle città greche mitizzando, appunto Mida ed il suo "oro magico" dando così grande gloria all'uomo che poteva tramutare ogni cosa in.... ottone :D
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